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“Vi spiego come ci si muove sul luogo del crimine”

I rapporti con gli investigatori, gli errori da non fare, come trovare la pista giusta e perché non ci si improvvisa giornalisti d’inchiesta. Maurizio Licordari, inviato di Porta a Porta, tra gli ospiti della masterclass di videogiornalismo investigativo organizzata da The Newsroom Academy, ci spiega perché il lavoro sul campo è tutto per imparare a fare questo mestiere, ma la formazione e il confronto con chi ne sa di più sono il presupposto per fare la differenza.

Tu hai seguito tanti casi di cronaca nera. Come ci si muove sul luogo di un crimine?

Prima di tutto noi dobbiamo mantenere il nostro ruolo di cronisti, rispettare la posizione in cui ci troviamo e il lavoro delle forze dell’ordine, degli investigatori, degli inquirenti. Bisogna sempre stare molto attenti a non intralciare le indagini e i percorsi fatti dalle forze dell’ordine, perché molto spesso noi arriviamo sui casi quando l’attività investigativa è ancora in corso, o addirittura proprio all’inizio. Questa è la prima cosa. Poi, bisogna imparare a ragionare come ragionano gli investigatori, seguire le piste che ci sembrano più convincenti nel rispetto delle persone di cui si parla e delle storie che si raccontano. Con la consapevolezza che ogni tanto qualche rischio bisogna anche prenderselo, perché altrimenti si finisce con il non fare questo lavoro.

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Quali sono gli errori da non fare?

L’errore da non fare è quello di sottovalutare il peso del nostro lavoro, quanto può essere importante per noi diffondere un’informazione e le conseguenze del diffonderla. Non bisogna lasciarsi travolgere dall’entusiasmo di scrivere una notizia prima degli altri o di tirare fuori uno scoop, e poi rendersi conto che è una forzatura esagerata, dovuta a un eccesso di entusiasmo che ci spinge a non verificare per bene le notizie. Invece, le notizie vanno sempre verificate anche quando arrivano da fonti attendibili, come investigatori e inquirenti, carabinieri, polizia, procura. Perché, magari per esigenza dell’attività che stanno svolgendo, alcuni dettagli potrebbero non essere precisi. E un dettaglio non preciso nel nostro lavoro è sempre molto rischioso. Oltre a degli obblighi dal punto di vista deontologico, dobbiamo tutelarci dal rischio di incorrere in azioni penali o risarcitorie da parte di qualcuno.

Quanto la pressione dei media può essere determinante nella soluzione dei cold case?

La pressione dei media può essere molto importante. Ci sono casi che, proprio grazie alla pressione dei media, si sono risolti o comunque riaccesi. Come il caso di Denise Pipitone che riparte proprio perché a un certo punto salta fuori una notizia di stampa che riporta di questa Olesya, una ragazza che diceva di non sapere chi fossero i suoi genitori e che si ipotizza essere Denise Pipitone. Che, però, poi non risultò affatto essere Denise, anzi addirittura si ipotizzò ci fosse dietro una sorta di truffa. Ma a partire da quella notizia, il caso di Denise è tornato di attualità e sono emersi piano piano altri particolari. Più di recente invece, anche se non è un vero e proprio cold case, c’è una vicenda che ho seguito personalmente e che rende l’idea: il caso dell’anziano buttato in un pozzo a Toano, in provincia di Reggio Emilia. Secondo l’accusa la moglie, insieme alla figlia e al genero, erano stati gli ideatori del piano e la moglie era quella un po’ più fragile dei tre. E la moglie, sotto la pressione dei media, – noi giornalisti le siamo stati praticamente addosso tutti i giorni per farla parlare, cercando di capire quale fosse la sua versione – una mattina ha deciso di presentarsi ai carabinieri e di raccontare tutta la verità. 

Però, non ci si improvvisa giornalisti investigativi. In che modo la formazione e una masterclass come questa può fare la differenza?

Questa è una domanda difficilissima.  Che non ci si improvvisa giornalisti investigativi è verissimo ma la formazione, e una masterclass come questa, è fondamentale per comprendere le dinamiche e confrontarsi con i colleghi. Poi, io dico sempre che il giornalismo è un mestiere che si impara sul campo. Personalmente sono cresciuto facendo questo mestiere sul campo, però, è anche vero che sono arrivato sul campo dopo essermi confrontato per anni con colleghi più grandi e più preparati di me che hanno saputo raccontarmi il mestiere. Un problema grave del giornalismo di oggi è che nelle redazioni ci sono sempre meno maestri a disposizione, persone che hanno tempo e modo di insegnarlo, il mestiere. 

Perché?

Un po’ perché si sono ridotte le redazioni, un po’ perché si sono complicati i tempi. E allora diventa fondamentale avere occasioni di incontro come questa della masterclass, perché incontrare giornalisti che fanno questo lavoro sul campo con grande impegno quotidianamente significa poter rubacchiare loro un po’ di professionalità. Io spero di metterci il mio, ma considerando i nomi che ci sono in questo progetto sono sicuro ci saranno tanti tanti spunti da prendere per chi avrà voglia di raccogliere queste “lezioni”.

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