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Abu al-Walid, il re dei mujaheddin

Membro-chiave della neonata Repubblica di Ichkeria, l’anti-Cecenia, al-Walid trascorre il periodo interguerra ad addestrare combattenti volontari e autoctoni alla guerra, regolare ed irregolare, preparandosi e preparandoli all’eventualità di una riapertura del fronte.

Nel 1999, poi, la sconsiderata decisione di invadere il Dagestan, verso il quale la presidenza cecena serbava aspirazioni egemoniche, renderà il trio Basaev-Khattab-Walid celebre in tutto il mondo islamista. L’evento che avrebbe dovuto apportare nuova linfa vitale all’Internazionale del Jihād, spianando la strada alla liberazione di tutti i popoli islamici soggiogati da Mosca, ma che avrebbe significato l’inizio della fine dell’insorgenza ciscaucasica.

Eletto numero due di Khattab alla vigilia della seconda guerra cecena, anticipata da una serie di attentati terroristici di dubbia matrice, Walid entra molto rapidamente nell’elenco dei “wanted dead or alive” dei servizi segreti russi. Non è, infatti, un combattente come gli altri: è capace di guidare battaglie semisimmetriche durature – come ad Argun, dove viene annichilita la 76esima Divisione aerea d’assalto di Pskov –, di condurre imboscate sanguinose e di eliminare intere divisioni.

Nell’estate 2001, in riconoscimento dei successi riscossi dal combattente saudita, l’allora presidente ichkeriano, Aslan Maschadov, lo elegge comandante del fronte orientale. Nel 2002, dopo la morte dell’amico Khattab, avvelenato dai servizi segreti russi, diventa il capo del Battaglione islamico dei mujāhidīn arabi in Cecenia.

Il regno di Walid non durerà molto. Il 16 aprile 2004, dopo soli due anni di leaderaggio del Battaglione islamico dei mujāhidīn arabi in Cecenia, il comandante saudita viene ucciso a seguito di un’imboscata del Battaglione speciale Vostok. A dirigere l’operazione è Sulim Yamadaev, un ribelle passato dalla parte di Mosca, che Vladimir Putin insignerà di una preziosa medaglia, Eroe della Federazione Russa, l’anno seguente.

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