Erdogan tra le macerie: “Era impossibile prepararsi”, e blocca i social
Elena Del Mastro — 9 Febbraio 2023
Tra Siria e Turchia si continua a scavare con la speranza di trovare ancora vivo qualcuno tra i dispersi. Il bilancio in tre giorni di ricerche è pesantissimo: sono 15mila i morti già accertati fin ora. La situazione nelle città più colpite è da scenario di guerra: non c’è acqua, non c’è connessione Internet e non c’è luce dove la terra ha tremato. I camion della protezione civile sono presi d’assalto e le sirene continuano a suonare incessantemente. Intanto Bashar al-Assad ha chiesto aiuto a Bruxelles e si è detto pronto a mandare gli aiuti anche a anche nelle regioni controllate dalle opposizioni.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha fatto il giro delle città colpite: Kahramanmaras, Hatay. Ha fatto mea culpa per i ritardi nei soccorsi dopo le critiche in rete. “Inizialmente ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili e domani sarà ancora più facile”, ha detto. Ma poi si è giustificato sostenendo che era impossibile prepararsi ad una catastrofe del genere. Ha puntato il dito contro i “provocatori”, proprio mentre i giornalisti turchi segnalano che Twitter è di nuovo irraggiungibile nel Paese. Ci sono stati anche degli arresti ad Hatay, persone che avevano denunciato sui social la mancanza di soccorsi e sono state accusate di aver diffuso informazioni false creando terrore nella popolazione. E intanto il governo ha bloccato i social network.
La rabbia tra la popolazione monta anche per una “tassa sui terremoti” introdotta dal governo dopo il terremoto nel 1999 che ha ucciso più di 17 mila persone. Oltre 4,3 miliardi di euro, che avrebbero dovuto essere spesi per la prevenzione dei disastri e lo sviluppo dei servizi di emergenza. E montano anche le polemiche per i periodici “condoni edilizi”, che offrono l’esenzione legale a quelle strutture costruite senza i certificati di sicurezza. Non dà tregua nemmeno la natura: le temperature stanno scendendo su tutto il territorio colpito dove sono migliaia gli sfollati che non hanno nulla, nemmeno le tende sotto cui ripararsi. La minima di Gaziantep segna -7 gradi, il vento dalle montagne soffia gelido mentre tutti dormono fuori nelle tende o in automobile. E intanto continuano a susseguirsi le scosse.
Bashar al-Assad, che in un primo momento si era detto contrario, ha detto di voler mandare aiuti anche a Idlib, territorio controllato dalle opposizioni. Qualcuno crede che Assad possa aver visto un’opportunità nella crisi per affermare ancora di più il suo potere. “Vuole dimostrare una cosa: o si collabora con me o si passa da me”, ha spiegato Aron Lund, esperto siriano del think tank Century Foundation, citato dal Corriere della Sera.
La situazione in Siria, già stremata da anni di guerre e carestie è drammatica. I 2.643 morti ufficiali sono solo l’inizio d’un bilancio spaventoso. Senza fogne e senz’acqua, specie ad Aleppo, già da mesi infuria un’epidemia di colera che ha fatto più morti che in Somalia o ad Haiti. E negli ultimi due anni il prezzo del cibo è aumentato del 530%: ora, in molti villaggi c’è solo quello distribuito dai soccorritori. La parte della Siria sotto dittatura, e sotto sanzioni internazionali, è ferita, con 300mila sfollati, ma gode dell’assistenza di russi e cinesi e di almeno otto paesi arabi riconciliati con Assad. Ma il dramma è ancora più grande nella parte della Siria in mano all’opposizione curda. Soffre questa nuova emergenza che si è abbattuta sulla popolazione soprattutto la parte nord-occidentale d’Idlib, la più colpita, la più isolata, abitata da 4 milioni di profughi, che già da tempo viveva con i pochi aiuti umanitari internazionali. In questo contesto è aperto il dibattito internazionale su se bloccare o meno le sanzioni alla Siria.
Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
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