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Potremmo adottare il piano Sunak, anche subito. Ma ecco perché è difficile farlo – Stefano Magni

Nel Regno Unito, il governo di Rishi Sunak, con una sola dichiarazione, ha demolito un mito: quello secondo cui l’immigrazione è un fenomeno “inarrestabile”. La nuova legge, che entrerà in vigore nei prossimi mesi, prevede che tutti gli immigrati sprovvisti di documenti saranno respinti. Tutto qui? Sì, tutto qui.

La norma avrà un effetto retroattivo, una volta approvata. Tutti gli immigrati illegali entrati dopo il 7 marzo (data dell’annuncio pubblico) saranno passibili di espulsione. Uniche eccezioni: i minorenni e coloro che versano in condizioni fisiche gravi.

Tutti gli adulti sani, invece, se sprovvisti di documenti, non avranno diritto di chiedere asilo politico e non potranno neppure tornare in futuro sul suolo britannico. Dove saranno mandati? In Ruanda, prima di tutto, che ha già stipulato un accordo con l’allora premier Boris Johnson, nel 2022, oppure in altri Paesi terzi che concorderanno con Londra una politica di respingimenti, previa dimostrazione che siano Paesi sicuri (quindi non in guerra e in grado di assicurare i diritti fondamentali ai richiedenti asilo).

Inattaccabile sul piano giuridico

L’opposizione nel Regno Unito sta usando argomenti che conosciamo bene in Italia, invocando la tradizionale ospitalità che Londra diede ai dissidenti di tutto il mondo, nel corso degli ultimi due secoli. Il diritto internazionale e la Convenzione di Ginevra vengono citati in continuazione da chi è favorevole alla politica dell’accoglienza. Ma il governo britannico, sul piano giuridico, non ha nulla da farsi perdonare.

La Convenzione di Ginevra, infatti, prevede che “uno Stato non possa intraprendere sanzioni penali a motivo della sua entrata o del suo soggiorno illegale contro un rifugiato che proviene direttamente da un territorio in cui la sua vita o la sua libertà erano minacciate, a condizione che si presenti senza indugio alle autorità e giustifichi con motivi validi il proprio ingresso o il proprio soggiorno irregolare” (articolo 31, corsivo nostro, ndr).

La stessa Convenzione vieta di espellere e respingere “un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche” (articolo 33, sempre corsivo nostro).

Da dove arrivano gli immigrati privi di documenti che sbarcano sulle coste meridionali inglesi? Dalla Francia. La Francia è un Paese in cui “la vita o la libertà” dell’emigrante sono minacciate? No, altrimenti non sarebbe neppure un Paese fondatore dell’Unione europea.

Verso quale Paese verrebbero espulsi gli immigrati illegali? Verso il Ruanda o altri Stati che dovessero firmare una convenzione analoga. Dunque non si parla di “territori in cui la sua (dell’immigrato, ndr) vita o la sua libertà sarebbero minacciate”. Il governo britannico non sta violando il diritto internazionale, dunque.

Tutelare gli immigrati legali

E sta agendo soprattutto per tutelare i diritti degli immigrati legali. Come ha dichiarato il ministro dell’interno, Suella Braverman (figlia di immigrati indiani):

L’immigrazione illegale è scorretta e ingiusta nei confronti dei contribuenti britannici, è scorretta e ingiusta nei confronti di chi viene qui legalmente. Inoltre non è giusto che sia consentito alle organizzazioni criminali di continuare il loro commercio immorale. Sono determinata a mantenere la mia promessa di fermare le imbarcazioni. Quindi sia chiaro, chi arriva illegalmente non potrà restare.

Difficile applicazione in Italia

La stessa politica potrebbe essere applicata anche in Italia? Sì, anche subito. Perché, però, sarà più difficile farlo? Per tre motivi principali.

Primo: gli immigrati che arrivano da Paesi sicuri (come la Turchia, da cui arrivava il cacicco naufragato vicino a Crotone) possono anche essere espulsi. Ma quelli che giungono dalla Libia, no. È molto più difficile dimostrare che un Paese in guerra dal 2014 sia “sicuro”.

Vale l’argomento del “primo approdo”: chi salpa dalla Libia avrebbe la possibilità di sbarcare in altri porti sicuri, in Tunisia e a Malta, prima di giungere in Italia. Ma non si può affermare che gli emigranti che partono da Tripoli si lascino alle spalle un Paese in cui non rischiano la vita o la libertà. Però, già impuntarsi sul loro sbarco in altri porti sicuri più vicini e già selezionare gli arrivi a seconda del porto di partenza, ridurrebbe sensibilmente il fenomeno degli sbarchi.

Il secondo motivo è internazionale: contrariamente al Regno Unito, l’Italia fa ancora parte dell’Ue. E gli altri Stati membri dell’Ue hanno tutto l’interesse che noi continuiamo ad accogliere tutti gli immigrati dal Mediterraneo, anche sapendo che poi tenteranno di spostarsi a nord verso la Germania o a ovest verso la Francia.

Nell’ultimo decennio, l’Italia si è presa informalmente questo incarico: di fare lo hub europeo per i richiedenti asilo. Convincere gli altri Stati membri che non lo vogliamo più fare sarà ora molto più difficile.

L’ideologia immigrazionista

Il terzo e fondamentale motivo, però, è culturale. La Gran Bretagna, nazione insulare, ha sempre basato la sua sopravvivenza sulla difesa delle sue coste, che coincidono con la sua frontiera. Non ha mai disdegnato l’immigrazione, men che meno l’asilo politico. Purché quest’ultimo sia reale, però, e non solo un espediente per entrare alla chetichella.

La frontiera e la sua gestione non sono mai state delegate all’Ue, nemmeno quando il Regno Unito ne faceva parte. La cultura politica italiana, al contrario, si è convinta che il nostro Paese sia un “ponte” sul Mediterraneo fra Europa e Africa.

Cambiano di volta in volta gli argomenti a favore di questa tesi, a seconda delle ideologie e dei periodi: si dice che l’immigrazione dall’Africa ci aiuti a pagare le pensioni, o ci aiuti ad arricchire la nostra cultura, a fare i lavori che “gli italiani non vogliono più fare” o a colmare il problema del calo demografico. Ma l’idea centrale è sempre quella che noi siamo e dobbiamo essere un “ponte”.

E non è solo una questione di interessi, più o meno loschi, di chi lucra sull’accoglienza. È ormai un’ideologia radicata nel nostro Paese, a prescindere dai mutevoli governi e relativi interessi. Per questo è difficile trovare la convinzione politica (e non solo giuridica) per fermare l’immigrazione illegale.

Alla fine, però, ci converrebbe veramente fare come Sunak. Non abbiamo nulla da guadagnare da un’immigrazione illegale. Se avessimo veramente bisogno di immigrati che ci pagano le pensioni e lavorino sodo, dovremmo semmai cambiare le leggi per l’immigrazione regolare.

Ma siccome non le cambiamo (le procedure restano molto farraginose e lente), vuol dire che nessuno nutre un reale interesse ad avere “nuovi italiani”. Dovremmo “solo” liberarci dell’ideologia immigrazionista. Ed è questo il compito più difficile, per chiunque governi il Bel Paese.

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