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Perché gli aiuti umanitari non arrivano in Siria

Il terremoto tra Siria e Turchia ha fatto al momento più di 20mila morti. Tutto il mondo si è mobilitato in soccorso di Ankara e Damasco promettendo aiuti umanitari e squadre di soccorso. In Siria però gli aiuti fanno molta più fatica ad arrivare. Il terremoto ha portato alla ribalta un problema con cui il Paese levantino combatte da anni: l’impossibilità degli accessi agli aiuti stranieri.

Le ragioni della quasi impossibilità dell’arrivo degli aiuti umanitari dipende da tre fattori ben precisi: confini bloccati, sanzioni internazionali, organizzazioni non governative internazionali in affanno.

Confini bloccati

Dall’inizio della guerra civile nel 2011, la Siria è stata divisa in tre parti: una controllata dal governo di Bashar al Assad, un’altra dall’opposizione nel nord-ovest (zona di Idlib) e un’altra ancora dalle forze curde nel nord-est. La zona del nord-ovest conta quattro milioni di persone ed è un angolo di terra che dipende fortemente dagli aiuti. Durante tutto il corso della guerra, pochi sono stati i corridoi autorizzati e poi rispettati dal governo di Assad alle zone controllate dall’opposizione rendendo quindi gli aiuti umanitari pressoché impossibili. Ma è Putin a decidere le sorti dell’arrivo degli aiuti attraverso i varchi, ad esempio nel 2020 è stato proprio lui a imporre una chiusura di tutti i valichi di frontiera agli aiuti dell’Onu, fatta eccezione per quello di Bad al-Hawa, attraverso il voto semestrale del consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ogni sei mesi infatti vi è il timore che la Russia ponga il veto sull’ultimo valico aperto, ormai considerato l’unica via percorribile per fornire gli aiuti.

Adesso gli aiuti internazionali previsti arriverebbero ad Adana, Turchia, per poi arrivare nella regione di Gazientep colpita dal terremoto e poi da lì raggiungerebbero le zone colpite della Siria. Le strade del valico di Bad al-Hawa sono gravemente danneggiate e l’unica strada percorribile da Gazientep al valico è attualmente inaccessibile.

Sanzioni internazionali

Il terremoto ha colpito violentemente anche le zone controllate dal governo, in particolare Aleppo, già parzialmente distrutta dalla guerra civile e dall’assedio del 2016. Queste zone, come tutto il resto del territorio sotto il controllo del presidente Assad, sono alle prese con le sanzioni statunitensi ed europee. I governi stranieri e molte organizzazioni internazionali preferiscono non far passare gli aiuti attraverso il governo poiché si pensa che questi verrebbero sottratti dai funzionari siriani. Martedì 7 gennaio Khaled Hboubati, direttore della Mezzaluna Rossa siriana, ha chiesto la rimozione delle sanzioni per far fronte ai devastanti effetti del terremoto. Il Paese non avrebbe solo bisogno di beni di prima necessità, ma anche di macchinari pesanti, ambulanze e autopompe per continuare le operazioni di salvataggio e per rimuovere le macerie. Infatti al momento il popolo siriano sta scavando con pochissimi mezzi a disposizione e i caschi bianchi chiedono un immediato aiuto internazionale. Gli Usa, fino a questa mattina, non avevano risposto all’appello del presidente Assad di revocare le sanzioni. Nelle ultime ore però una circolare diffusa dal Dipartimento del Tesoro di Washington stabilisce un allentamento di 180 giorni delle sanzioni per permettere i soccorsi. L’Ue starebbe pianificando un pacchetto di aiuto pari a tre milioni di euro.

Organizzazioni non governative internazionali in affanno

Per anni le organizzazioni umanitarie hanno fornito assistenza alla città di Idlib e alle zone circostanti. Tuttavia, come annunciato dal World Food Program nel 2022, i pacchetti di aiuti destinati alle famiglie sono diminuiti drasticamente a causa del limite dei fondi e del moltiplicarsi delle crisi internazionali. Infatti l’attenzione si è rivolta soprattutto verso l’Ucraina che ha generato una nuova crisi umanitaria bisognosa di urgente aiuto. I precedenti sforzi umanitari in Siria sono stati comunque non all’altezza e poco più che sufficienti rispetto alla crisi reale, lasciando poco o nulla come prevenzione per emergenze di questo tipo o per calamità naturali.

Si sta quindi aggravando una situazione particolarmente difficoltosa nella quale le organizzazioni umanitarie cercavano da tempo di tamponare crisi e problematiche di per sé difficili quali carestie e malattie. In questo contesto l’unica organizzazione non governativa che sta riuscendo a reperire quanti più aiuti possibili è quella dei Caschi Bianchi, infatti sono già riusciti a ricevere dalla Gran Bretagna 900mila dollari e a entrare in contatto con gli Usa che si sono detti pronti a soddisfare le loro esigenze.

Caschi Bianchi è il nome dato alla Difesa civile siriana, ovvero un’organizzazione umanitaria di protezione civile nata durante la guerra civile dall’iniziativa di un ex militare britannico James Le Mesurier. L’organizzazione ha ricevuto durante gli anni della guerra finanziamenti da Gran Bretagna e Stati Uniti arrivando a cifre milionarie. I volontari di questa organizzazione si sono dichiarati sin da subito neutrali nel conflitto ma, malgrado questo, ha generato molta controversia il premio a loro dedicato da parte dell’organizzazione jihadista Al Nusra nel 2017.

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