Panama potrebbe esistere e persino continuare a prosperare senza gli Stati Uniti, ma gli Stati Uniti senza Panama sarebbero condannati a subire un ridimensionamento significativo e semipermanente della loro egemonia. Perché dire Panama è dire Canale di Panama, ovvero il 3,5% del commercio marittimo globale, ed è dire controllo dei due oceani che schermano l’emisfero occidentale dal resto del mondo.
Gli Stati Uniti avevano intuito l’eccezionale geostrategicità dell’istmo di Panama dapprima che Panama esistesse come Stato. Perciò, nel 1903, incoraggiarono e finanziarono la secessione di questa striscia di terra, all’epoca ricadente sotto la sovranità della Colombia, con l’obiettivo di precipuo di costruirvi un canale.
Il trattamento riservato a Panama sin dal 1903, anno dell’indipendenza e della trasformazione della Zona del Canale in un territorio non incorporato degli Stati Uniti, ha fatto sì che il paese divenisse gradualmente un semenzaio di antiamericanismo. Sentimento che ha assunto la forma di periodici incidenti in occasione del 3 novembre – festa dell’indipendenza –, di politici anti-imperialisti – come Aquilino Boyd – e di rivolte.
Scrivere di antiamericanismo a Panama potrebbe condurre dal controverso dittatore Manuel Noriega, deposto manu militari dagli Stati Uniti nel 1990, ma significa in special modo raccontare la storia della rivolta del 9 gennaio 1964. Rivolta che nell’immaginario collettivo panamense è stata cristallizzata come il Giorno dei martiri e la cui eredità continua a pesare come un macigno nelle relazioni tra Stati Uniti e Panama.
Panama, provincia di Washington
I panamensi credevano che nel 1903, aiutando gli Stati Uniti a decretare la fine della Colombia quale aspirante egemone dell’America Latina, avrebbero ottenuto in cambio una sorta di stato regio e di esenzione dalla dottrina Monroe. Ma così non è stato. Panama, anzi, della dottrina Monroe è divenuta la colonna portante.
All’indomani dell’indipendenza dalla Colombia, sempre nel 1903, l’imposizione del Trattato Hay-Bunau-Varilla avrebbe trasformato Panama in una colonia informale degli Stati Uniti, cedendo a questi ultimi il controllo perpetuo della Zona del Canale. L’indipendenza (s)venduta alla modica cifra di dieci milioni di dollari dell’epoca, più un assegno annuale di 250mila, dato il divenire di soprascritta un territorio non incorporato degli Stati Uniti.
Le relazioni tra panamensi e americani, mai facili, sarebbero peggiorate con il passare del tempo. Un po’ per via dell’autoisolamento dei secondi dal resto della società, agglomerati nell’area attorno al Canale e dispregiativamente ribattezzati gli zoniani (zonianos). Un po’ per il rancore generato dalle clausole del Trattato del 1903. Una bomba a orologeria destinata a esplodere nel 1964.
La lunga marcia verso il Giorno dei martiri
Il 1959 fu un anno particolarmente difficile da digerire per gli Stati Uniti. Si aprì con la vittoria delle forze comuniste nella Rivoluzione cubana. E si concluse con lo scoppio di una violenta rivolta antiamericana a Panama, avvenuta il 3 novembre, giorno dell’indipendenza, e scaturita da un tentativo di invasione popolare della Zona del Canale.
Il 3 novembre 1959, data di assalti alle sedi diplomatiche degli Stati Uniti in loco e di scontri tra popolazione locale e soldati a stelle e strisce stanziati nella Zona del Canale, la Casa Bianca riconobbe l’esistenza di un problema a Panama. Un problema evidentemente esteso, dato che soltanto l’anno precedente, in maggio, delle intense dimostrazioni antiamericane avevano lasciato a terra nove morti. Un problema da risolvere, pena una seconda Cuba, dato che le proteste a cadenza periodica contro il Trattato del 1903 erano diventate la norma dal 1947.
Il 17 settembre 1960, nel tentativo di riavviare le relazioni bilaterali, Dwight Eisenhower dava ordine di permettere lo sventolamento della bandiera di Panama a fianco delle stelle e strisce nella Zona del Canale. Un simbolico gesto, di distensione e incontro, che si pensava potesse placare gli animi agitati dei panamensi. Un gesto troppo piccolo, però, per sortire un qualsiasi effetto.
El Día de los Mártires
Un 9 gennaio come oggi, ma del 1964, la frustrazione nei confronti degli altezzosi zoniani e il risentimento verso il Trattato del 1903, esacerbati dal tradimento della promessa di innalzare la bandiera panamense a fianco dell’americana nella Zona del Canale – ritirata dopo la morte prematura di JFK –, esplodevano nella più grave sollevazione antiamericana della storia di Panama.
Dinanzi alla firma del decreto sullo sventolamento delle bandiere firmato da Robert Fleming Jr, governatore della Zona del Canale, ripristinante lo status quo ante JFK-Eisenwhower, i panamensi cominciarono a protestare con veemenza agli albori del 1964. Obiettivo: l’innalzamento della bandiera panamense, di fianco a quella statunitense, in tutti i siti, civili e militari, della Zona del Canale.
La mattina del 9 gennaio, mentre Fleming Jr si trovava negli Stati Uniti per aggiornare la presidenza sugli sviluppi della crisi di Panama, iniziava la rivolta a lungo temuta. Casus belli la presenza della bandiera panamense sul tetto della scuola superiore Balboa, aborrata dalle autorità dell’istituto, il cui tentativo di innalzamento da parte di un gruppo di studenti avrebbe scatenato dei pesanti tafferugli con le forze dell’ordine e con gli zoniani. Funesto il destino della controversa bandiera: fatta a pezzi.
Tam tam. La voce della bandiera strappata e degli studenti panamensi aggrediti dagli zoniani, col supporto della polizia, avrebbe fatto il giro di Panama in meno di un’ora. Migliaia di persone scesero in strada spontaneamente, chi sventolando la bandiera della discordia e chi brandendo armi, in direzione della Zona del Canale. Inevitabili i disordini con le forze dell’ordine, dispiegate in assetto antisommossa nei punti critici della capitale, anche perché volutamente ricercati da una popolazione carica di livore.
La Guardia nazionale, interpellata dalle forze dell’ordine, avrebbe optato per un eloquente silenzio. L’esercito era dalla parte della popolazione. Accerchiati e soverchiati dalla prepotenza del numero, e nonostante il ricorso alle armi da fuoco, i poliziotti non poterono nulla per impedire l’invasione della Zona del Canale e l’abbattimento del cosiddetto “Muro della vergogna“, la cinta muraria che da decenni separava le due Paname, quella povera dei latinoamericani e quella ricca degli zoniani. La rivolta della bandiera come lotta di classe.
Alle otto e mezza di sera, causa l’assenza di risposte della Guardia nazionale e l’acuirsi dei disordini – coinvolgenti all’incirca trentamila panamensi –, l’entrata in scena della 93esima Brigata di fanteria dell’Esercito degli Stati Uniti. Ma era troppo tardi: i riottosi, sfondato il Muro di Berlino dell’America Latina, avevano iniziato a dar fuoco e a vandalizzare edifici, veicoli, negozi e arredi urbani dell’opulenta Zona.
L’antiamericanismo come collante nazionale
La sollevazione antiamericana si sarebbe protratta per tre giorni, rientrando soltanto grazie alla tolleranza zero applicata dalle forze armate statunitensi. Questa volta, contrariamente agli episodi degli anni precedenti, il bollettino sarebbe stato piuttosto pesante: più di 20 morti tra i panamensi, 4 morti tra i soldati statunitensi, oltre 500 feriti da ambo i lati.
A meno di una settimana di distanza dalla sollevazione, il 15 gennaio, la storica decisione del presidente panamense Roberto Chiari di rompere le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti fino alla riapertura dei negoziati sul Trattato del 1903. Due settimane più tardi, una manifestazione in ricordo dei caduti partecipata da più di 40mila persone.
La crisi sarebbe rientrata soltanto nel 1979, dopo un lungo lavoro di tessitura diplomatica portato a compimento dall’amministrazione Carter, con il dissolvimento della Zona del Canale, ceduta dagli Stati Uniti a Panama, e l’inizio di un trasferimento di proprietà del Canale, nella stessa direzione di cui sopra, poi finalizzato nel 1999.
Oggi, complice la trasformazione in ricordo del Trattato Hay-Bunau-Varilla, le relazioni tra Stati Uniti e Panama sono (molto) meno tese. Ma la memoria dei trascorsi burrascosi e similcoloniali continua a vivere nella collettività, che ogni anno si raccoglie per ricordare i martiri del 9 gennaio 1964 in una festività che ha fatto dell’antiamericanismo un collante nazionale, e a plasmare le percezioni della classe dirigente panamense.
Il Trattato Hay-Bunau-Varilla è passato, il Giorno dei martiri è una rievocazione, ma Panama conserva la memoria di ciò che è stato. Perciò nel 2015, agli albori della competizione strategica sinoamericana, la cerniera dell’America Latina chiedeva alla Repubblica Popolare Cinese di instaurare un rapporto migliore. Perciò nel 2017, nonostante i moniti della presidenza Trump, la figliol prodiga della Colombia abbracciava la politica dell’una sola Cina. E perciò Panama, oggi, ha attirato le preoccupazioni del Comando meridionale degli Stati Uniti, causa l’ingresso di gestori cinesi nelle due bocche del Canale.
Scrivere del “problema Panama” equivale a raccontare del capitolo latinoamericano della competizione tra grandi potenze. Perché se Russia e Cina vorranno realmente sfidare l’egemonia globale degli Stati Uniti, dovranno necessariamente mettere piede nel loro cortile di casa. E il completamento di quell’embrionale accerchiamento iniziato con la triangolazione Cuba–Nicaragua–Venezuela, e poi proseguito con l’Argentina – balcone sull’Antartide –, passa inevitabilmente dall’approdo a Panama, la cerniera dei due oceani le cui spalle reggono la dottrina Monroe.
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