Roma, 30 mar – Ora pure la cucina italiana è sotto attacco. Agli anti-italiani non basta demonizzare il Risorgimento, imporre la visione di una Nazione “forzata” o addirittura inventata, dargli un valore culturale inferiore a quello degli Stati Uniti d’America (visto che ne contestano l’esistenza precedente al 1860), definire il popolo d’italiano costantemente e continuamente come incapace di qualsiasi cosa, dell’autogoverno come delle grandi opere, tranne che della corruzione di sua esclusiva o comunque primaria pertinenza rispetto al resto del mondo. No. Vogliono proprio tutto. Pure distruggere la reputazione di ciò che ancora nessuno si era permesso di contestare: il buon cibo.

Cucina italiana, gli attacchi anglosassoni e la complicità degli anti-italiani

È necessario premettere che la tradizione enogastronomica, pur valida e indiscutibile (soprattutto per i vantaggi che assicura al Made in Italy) da un punto di vista strutturale è un “primato di consolazione”. Una Nazione dove si gusta del cibo fuori scala per gran parte del resto del mondo ma che poi soccombe politicamente, culturalmente ed economicamente su tutto il resto, non è che abbia da festeggiare granché. Soprattutto, come i fatti di questi giorni stanno dimostrando, è destinata a rinunciare anche a questi primati ben presto, vista la sua debolezza intrinseca. A tal proposito fa ancora più scalpore la campagna avviata dagli anglosassoni su complicità di Alberto Grandi contro il parmigiano reggiano, ma anche “contro” la carbonara e contro la pizza. Il professore non stempera manco gli attacchi alla seconda pietanza in questione, anzi insiste, sostenendo addirittura come non solo essa, nella sua versione originale napoletana, faccia “schifo”, ma che sia stata migliorata dagli americani.

L’attacco dell’universo anti-italiano perfino al cibo nazionale e al suo gusto in generale, in realtà, non inizia con le sparate di Grandi e con i suoi riverberi sul Financial Times. Di qualche anno fa, ad esempio, è un editoriale pubblicato da Repubblica che se la prende con il caffé, definito “il più grande equivoco enogastronomico italiano” e – senza troppi complimenti – di “qualità mediocre”. Dando pure addosso alla presunta arroganza degli italiani “convinti di bere il caffé migliore del mondo”.

Non si accontentano: vogliono tutto

Ci si mette pure Gianni Riotta che, ovviamente, cavalca l’onda sul suo profilo Twitter.

Insomma, gli anti-italiani non si accontentano. Non gli basta definire l’italiano medio truffatore, vigliacco, incapace di combattere, di costruire, di realizzare qualsiasi cosa, di essere onesto (generando ovviamente sempre più italiani che si comportano in questo modo: banalissimo precetto pedagogico). Lo vogliono pure incapace di cucinare. Vogliono, senza mezzi termini, tutto. Ovviamente per distruggerlo. Per cui la domanda è semplice: cosa ci è rimasto che siamo in grado di fare? Sicuramente qualche rimasuglio verrà ancora fuori, non ne dubitiamo. Ad oggi, il fatto che non sappiamo cucinare ancora non sarà legge insindacabile come le altre questioni appena citate. È sufficiente, però, dare tempo al tempo. E osservare cosa succederà tra una cinquantina d’anni. Perché la tendenza è sempre la stessa: eliminare qualsiasi cosa possa essere motivo di vanto identitario, anche la meno rilevante, anche la meno appariscente. Non vogliono lasciarci nulla. Vogliono convincerci ancora di più di non meritare nulla. Come le bestie. Peggio delle bestie.

Stelio Fergola

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