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Nuovi scontri tra Israele e Palestina: cosa sta succedendo

Salgono le tensioni tra Israele e Palestina. Ieri, Tel Aviv ha lanciato una serie di attacchi sulla striscia di Gaza in risposta ai razzi lanciati da Hamas poche ore prima.

L’offensiva arriva dopo una giornata di sangue in Cisgiordania dove l’esercito israeliano ha ucciso dieci palestinesi e ne ha feriti altri venti in un raid nel campo profughi di Jenin. Adesso vi è la preoccupazione che la situazione possa degenerare e sfociare in una nuova intifada.

Il raid a Jenin

Giovedì 26 gennaio l’esercito israeliano è entrato nel campo profughi di Jenin. Secondo varie fonti, le forze armate avrebbero fatto il loro ingresso con un camion commerciale alle 7 del mattino e sarebbero state raggiunte da altri militari arrivati con mezzi corazzati mettendo sotto assedio un edificio.

Poco dopo i militari avrebbero piazzato un esplosivo all’interno dell’edificio e sparato un razzo anticarro. La reazione palestinese non ha tardato ad arrivare. I primi a entrare in azione sono stati gli uomini della Brigata Jenin, associazione di militanti di diverse organizzazioni della West Bank, che hanno aperto il fuoco contro l’esercito israeliano, seguiti poi dal lancio di sassi e bottiglie dei residenti del campo profughi.

Malgrado il comunicato diffuso dall’esercito circa l’obiettivo del raid (una cellula jihadista), nell’operazione sono morte dieci persone mentre altre venti sono state ferite, quattro delle quali gravemente. Il ministero della Salute palestinese ha identificato tre dei morti, tra cui ci sarebbe un’anziana di 60 anni che sarebbe stata raggiunta da un proiettile mentre era dentro casa sua. Sempre secondo il ministero, l’esercito israeliano avrebbe sparato gas lacrimogeni in un ospedale di Jenin causando alcuni feriti.

L’incursione israeliana arriva in un momento già molto teso. Qualche giorno fa un ventenne palestinese è stato colpito a morte dopo aver tentato di accoltellare un soldato israeliano nella colonia ebrea di Kedumim, nel nord della Cisgiordania. Giovedì scorso un altro incidente ha visto tre palestinesi colpiti e gravemente feriti vicino Ramallah.

Israele dal canto suo dichiara che ogni azione intrapresa dall’esercito ha portato all’eliminazione di militanti jihadisti. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha compiuto l’unico passo che probabilmente potrebbe influenzare le azioni di Tel Aviv e generare una risposta internazionale: annunciare l’immediata cessazione del coordinamento della sicurezza dell’Autorità palestinese con Israele.

Più taglienti le risposte arrivate dalle altre autorità palestinesi. Saleh al-Arouri, secondo leader di Hamas e responsabile per l’organizzazione in Cisgiordania, ha affermato che “la nostra resistenza non si spezzerà e la risposta arriverà presto”. Anche Tariq Salmi, portavoce del Movimento per il Jihad Islamico in Palestina, ha dichiarato che “la resistenza è ovunque, pronta e volenterosa per il prossimo confronto”.

Fuoco tra Gaza e Israele: una nuova guerra?

Ecco che tra la notte di giovedì 26 e venerdì 27, dalla Striscia di Gaza sono partiti dei razzi verso Israele. Quest’ultimo ha risposto con attacchi aerei sparando una dozzina di missili arrivati sul campo profughi di al-Maghazi non causando vittime. Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che le Forze di difesa israeliane hanno attaccato le organizzazioni terroristiche nella striscia infliggendo un duro colpo.

Le reazioni internazionali seppur timide sono arrivate. Emirati Arabi Uniti, Cina e Francia hanno chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite di riunirsi a porte chiuse e avviare dei negoziati di pace tra Israele e Palestina. Israele al momento non ha dato indicazione di essere impegnato nei colloqui e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Tel Aviv non vuole un’escalation anche se ha ordinato alle forze di sicurezza di prepararsi a tutti gli scenari possibili.

I sondaggi suggeriscono che il sostegno a un eventuale processo di pace è ai minimi storici da entrambe le parti. Inoltre l’insediamento del nuovo governo di estrema destra, poco tollerante nei confronti dei palestinesi, potrebbe infiammare una situazione già precaria.

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