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Lo schianto di Svb: come è esplosa la “banca del tech” e cosa può succedere

Quello di Silicon Valley Bank (Svb) è stato il crac di un istituto finanziario di maggior portata dai tempi di Lehmann Brothers nel 2008, tanto da portare molti analisti a preoccuparsi temendo che gli spettri della Grande Recessione siano prossimi a tornare sull’economia Usa e globale. Nulla di tutto questo ad oggi sembra all’orizzonte ma l’esplosione di Svb, pochi giorni dopo il default di un bond Blackstone garantito dall’immobiliare in Finlandia, torna a far spirare venti recessivi e di crisi sul sistema finanziario globale. E ci permette di capire come una larga parte della finanza debba, per evitare di saltare in aria, smettere di pensare di vivere ancora nella fase del denaro facile aperto dal lungo decennio di quantitative easing.

Svb, quarant’anni dopo la sua nascita, è collassata perché è venuto meno il terreno sotto i piedi all’istituto che viveva della corsa alla crescita infinita dei fondi di venture capital che alimentava la nascita di start-up tecnologiche nella Silicon Valley. E non a caso a travolgere l’istituto è stata una crisi di fiducia consumatasi tra fine febbraio e inizio marzo. Svb ha visto polverizzato il valore delle sue azioni dal fatto che i limiti ai prelievi di denaro hanno messo in difficoltà a lungo le imprese correntiste o partecipate dalla banca; il valore delle azioni è sceso da 44 a 7 miliardi di dollari complessivi prima del redde rationem del 9-10 marzo scorso. “I clienti hanno avviato richieste di prelievi per 42 miliardi di dollari in un solo giorno – un quarto dei depositi totali della banca – e Svb non era in grado di soddisfare le richieste”, ha scritto il Financial Times sulla giornata del 9 marzo. Il giorno successivo “la Federal Deposit Insurance Corporation – il regolatore bancario statunitense che garantisce depositi fino a 250.000 dollari – ha visitato la sede della banca a Santa Clara, in California, dichiarandola insolvente e prendendo il controllo. La corsa è stata così rapida che le sue casse sono state prosciugate per intero”.

La sedicesima banca per capitalizzazione degli Stati Uniti viveva sull’assunzione che i suoi investimenti e i suoi depositi si sarebbero autoalimentati in un continuo sviluppo dimensionale. Con una clientela principalmente corporate, fondata da start-up innovative che andavano dalla blockchain all’intelligenza artificiale desiderose di attrarre investitori, la soglia di 250.000 dollari di deposito garantito minimo è risultata inefficiente per imprese che consumavano milioni di dollari di risorse ogni mese. Svb è diventata negli anni dei bassi tassi un ibrido tra una banca di raccolta e un fondo di venture capital. Attraeva i depositi delle start-up che aveva finanziato all’inizio, investiva in titoli di Stato e in fondi di venture capital, sperava nei tassi nulli e nel denaro facile per alimentare il suo business. Ha scommesso sull’euforia della fase dei soldi sulle montagne russe che in California è durata fino alla pandemia. Ma col rialzo dei tassi deciso dalla Fed ha subito danni su tre fronti: meno investimenti per start-up, più rischio dai titoli di Stato detenuti, meno spazio per il venture capital nei nuovi attori emergenti.

Greg Becker, Ceo di Svb, una settimana prima del crack, all’Upfront Summit di Los Angeles, indicava nel suo istituto “il miglior partner finanziario nei momenti più difficili” per le start-up innovative.

La rapidità del crollo della settimana dopo mostra quanto un modello di business superato dai tempi possa trasformarsi in un edificio marcio pronto a cadere al primo vento contrario. Non c’è stata una causa scatenante del tracollo di Svb, solo una serie di vendite allo scoperto di azioni e di richieste di rimborso dopo che a Wall Street era trapelata la notizia che la banca californiana stava perdendo molto sulle attività a lungo termine e necessitava di un’iniezione di capitale da oltre 2 miliardi di dollari. La banca del big tech, la finanziatrice di avventure imprenditoriali, la “madre” delle start-up messa in ginocchio dai venti avversi dei tassi alti e del riflusso del quantitative easing: ciò che si aspettavano in molti si è materializzato ed è crollata l’ipocrisia che vedeva lo status quo fatto di denaro facile e investimenti a cascata proseguire.

Il risultato è stato uno schianto senza precedenti nei modi ma ancora troppo limitato per dar vita a un effetto contagio. Il grande insegnamento del caso Svb è la conferma di quanto si era già compreso con il crollo delle azioni e i licenziamenti a catena delle big tech californiane: la Silicon Valley ha perso la sua “verginità” ed è esposta a tensioni e scossoni economici. Tremori e sommovimenti intestini che alimentano i timori di crisi recessive e segnalano che l’epoca della crescita infinita e (quasi) sempre garantita del business e delle imprese tecnologiche finanziate con il capitale di rischio si è chiusa. Forse per sempre.

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