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Le lezioni di una Davos “geopolitica” all'insegna dell'intelligence

L’edizione 2023 del World Economic Forum è stata una delle più “geopolitiche” di sempre. Su Davos, città sede del consesso ideato da Klaus Schwab mezzo secolo fa e teatro delle avventure del romanzo “La Montagna Incantata” di Thomas Mann, la “cooperazione in un mondo frammentato” che ha dato il nome all’iniziativa si è vista in modo molto relativo. Piuttosto, è emerso come ogni grande consesso internazionale sia strumentalizzabile in ottica di competizione geostrategica: così è stato per il Cop26 a Glasgow nel 2021 e altrettanto è accaduto quest’anno tra le montagne svizzere. Dove Davos si è chiusa con le stesse ombre sul domani che erano proiettate, metaforicamente, sulle sue montagne nel romanzo di Mann, ambientato alla vigilia della deflagrazione globale della Grande Guerra.

Poca cooperazione, molta competizione, a causa delle numerose faglie aperte: la Cina e gli Usa che si sfidano sull’intelligenza artificiale; il duello a tutto campo tra Russia e Occidente; le scelte di campo di Ceo e top manager su ambiente e sviluppo da un lato, i bisogni delle società segnate dalle crisi energetiche e dall’inflazione dall’altro. La finanza e la grande impresa non sono state le protagoniste di un summit in cui, invece, hanno spiccato gli esponenti occidentali afferenti al mondo della sicurezza nazionale e, soprattutto, dell’intelligence.

In prima fila, ovviamente, gli Stati Uniti. Che hanno messo in campo il direttore dell’Fbi Christopher Wray, che ha caricato a testa bassa le ambizioni cinesi sull’Ia, e soprattutto la Director of National Intelligence Avril Haines. Madrina, assieme a William Burns che guida la Cia, della strategia di “intelligence a fonti aperte” che ha rivelato i piani del Cremlino. Nel panel “Ripristinare la sicurezza e la pace” Davos ha segnato l’unità d’intenti del campo atlantico a sostegno dell’Ucraina. A fianco di Haines un super-falco come Andrzej Duda, presidente della Polonia, e diversi decisori con pesanti deleghe strategiche. Tra questi Chrystia Freeland, vicepremier del Canada esperta di sicurezza economica nazionale e da tempo nel mirino dell’intelligence russa, il segretario Nato Jens Stoltenberg e il direttore dell’MI6 britannico, Richard Moore. Quest’ultimo è un altro dei pilastri del sostegno occidentale a Kiev, e la sua presenza al fianco di Avril Haines, già alto esponente della società di sicurezza Palantir, è indicativa.

Perché proprio Davos? Perché il tipo di “cooperazione” che si vuole dare in risposta al mondo “frammentato” è quella dell’organicità della sicurezza nazionale. Nel mondo odierno, più che mai nella storia, il potere vero sta nell’informazione e nella capacità di sfruttarla per plasmare analisi, decisioni politiche, visioni di sistema. Informazione che, oggi più che mai, è un portato della visione prospettiva delle agenzie di sicurezza. Il “modello ucraino” della cooperazione tra apparati di sicurezza, governi occidentali e media per plasmare il contesto ideale di sostegno a Kiev e, al contempo, materializzare un flusso informativo coerente tra apparati strategici e opinione pubblica è paradigmatico della possibilità di gestire le grandi sfide del presente contro i rivali dell’Occidente. Dall’economia alla finanza, dalla tecnologia alla corsa al soft power, il ruolo centrale del metodo d’intelligence si fa sempre più palese in ogni campo.

Non a caso questa è l’era dell’intelligence economica come metodo chiave per promuovere il controllo degli asset critici per la sicurezza nazionale di ogni Paese; è l’epoca in cui il ritorno dello Stato a un ruolo più attivo nell’economia non va solo di pari passo con maggiori investimenti e interventi ma anche con la costruzione di forme “politiche” di capitalismo capaci di gestire la sfida con i grandi sistemi dirigisti, Cina e Russia in testa. Dunque il consesso annuale convocato nel Canton Grigioni non poteva non vedere manager, imprenditori e finanzieri prendere appunti sentendo parlare i custodi del cuore più profondo degli arcana imperii, sul cui controllo sul filo del tempo si gioca oggi molto nei processi decisionali principali su scala globale.

In una Davos geopolitica in cui si è ammesso quanto il nesso tra economia e politica sia inscindibile, l’intelligence ha dato profondità geopolitica alle linea di faglia che dividono e frammentano il mondo. Così va, in questo secolo competitivo e cinetico. In cui gli Stati Uniti si vogliono mantenere al centro della scena. E non a caso hanno inviato la più corposa delegazione, con un quarto degli accorsi a Davos che erano proprio di nazionalità a stelle e strisce. Pronti a ascoltare i metodi e le proposte dei custodi delle informazioni più strategiche del presente.

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