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In difesa del Medioevo/3: la reale possibilità di riscrivere la storia – Roberto Ezio Pozzo

Probabilmente, lo studio del periodo medievale è la più affascinante impresa per uno storico. Come in una spedizione archeologica, si progredisce lentamente attraverso la decrittazione di un linguaggio iniziatico di non facile interpretazione e dalle mille sfumature interpretative. Passo dopo passo, si cerca il filo rosso che invisibilmente lega quegli avvenimenti che hanno edificato le fondamenta sommerse del mondo moderno.

Capire il Medioevo

Per studiare il Medioevo è necessario, anzitutto, “capire” il Medioevo e per capirlo bisogna, anzitutto, fare riferimento a quelle cronache settecentesche ed ottocentesche che lo descrissero, sottraendolo all’oblio in cui, proprio nell’epoca dei lumi, venne ingiustamente relegato.

Con il ritorno al paziente lavoro dei monaci e degli studiosi dell’antico, seguito a quella forma di ubriacatura di “modernismo” e riformismo che contraddistinsero gli anni degli enciclopedisti seicenteschi, i quali, in buona sostanza, preferirono rivolgersi all’epoca dei Romani più che al Medioevo, riprende il viaggio e l’avventura tra le complicatissime carte dei secoli “bui”.

Come ho già avuto occasione di dire più volte, più che del buio dell’epoca di mezzo, dovremmo parlare del labirinto delle successioni e dell’incertezza cronologica che ancora avvolge quel periodo, e proprio questo rende particolarmente appagante la ricerca di una quasi-verità tra le le possibili risposte multiple agli interrogativi che oggi ci poniamo per capirne di più.

La distruzione delle fonti scritte

Potremmo chiederci perché s’incontrino tante difficoltà a mettere in ordine le (poche e discordanti) tracce storiche di quei secoli intorno all’Anno Mille, soprattutto per quanto riguarda i secoli XI e XII, forse i più complessi e controversi di tutto il periodo e, verosimilmente, la risposta è solo una: la distruzione, dapprima ad opera dei barbari, saraceni ed altri invasori di svariate etnie, delle principali fonti scritte, perlopiù conservate nei conventi, moltissimi dei quali messi a ferro e fiamme dagli invasori della fase iniziale del Medioevo.

E, per giunta, in un secondo tempo, la recrudescenza delle guerre seicentesche, con i loro altrettanto nefasti roghi di migliaia di preziose raccolte storiche sopravvissute alle scorrerie dei predoni orientali che, oltre ad uccidere quasi tutti componenti del clero che incontrarono sul loro cammino, misero a fuoco biblioteche preziosissime.

Noi moderni, abituati all’esistenza ultrasecolare delle anagrafi e degli uffici catastali, davvero facciamo fatica ad immaginare che ancora oggi non si sappia di chi fosse certamente figlio un re oppure un pontefice medievale.

Ma accadeva proprio quello, già allora, e ciò faceva parte di una struttura sociale ampiamente affidata alla scelta, assolutamente quotidiana, tra cosa dovesse essere mantenuto segreto e cosa, invece potesse essere divulgato, per quanto, anche quando si volesse far conoscere un fatto, l’estensione orizzontale della sua conoscenza era talmente limitata da non permettere di consolidare una vera narrativa storica univoca.

Complotti e morti misteriose

Per quanto a noi possa apparire ingiusto ed impopolare, il potere, nel Medioevo si accettava a scatola chiusa e l’unico modo di contrastarlo era muovervi contro manu militari o, non infrequentemente, per mezzo del complotto e dell’uccisione di colui di cui si voleva, per parlare chiaro, prendere il posto.

Se, ancora nel terzo millennio, i colpi di stato e le uccisioni misteriose, quelle con tanto di probabilissimi ed identificabili mandanti ed eseguite da professionisti silenziosi ed efficaci al primo colpo, non sono ancora terminate, le cose non sembrerebbero essere tanto diverse.

Semmai, oggi, è estremamente più difficile farla franca, perché con gli strumenti attuali sappiamo tutto di tutti in brevissimo tempo, in ogni parte più remota del pianeta. A quell’epoca era persino impossibile sapere perché un dato personaggio di spicco fosse scomparso dalle scene. Morto? Assassinato? Imprigionato? Non v’era risposta alcuna. Si passava oltre.

I glossatori

I metodi sbrigativi e feroci di risolvere le controversie che erano in auge ai tempi dei castelli feudali sono parte di un sistema che ha tuttavia dato alla storia straordinari giuristi. Per citarne uno solo, Bartolo da Sassoferrato (1314-1357) e, addirittura prima di questo, i glossatori bolognesi, i quali intorno al 1200 si presero la briga di commentare con le glosse, appuntogli unici testi giuridici di derivazione giustinianea e quelli di diritto canonico.

Che poi, della più che articolata raccolta di leggi commentate ed aggiornate, i protagonisti delle principali vicende medievali se ne siano altamente fregati per i loro porci comodi, è altrettanto vero, ma non succede lo stesso anche oggi?

Troppo difficile da studiare e insegnare

Sempre per fare chiarezza, v’è poi da sfatare una comune diceria che attribuirebbe all’epoca medievale la c.d. legge del taglione ossia il celeberrimo “occhio per occhio, dente per dente”. Peccato che proprio quest’ultimo concetto oculistico-odontoiatrico sia tratto dalla Bibbia e addirittura presente nel Codice Hammurabi del 18 secolo a.C.

Ma, tant’è, l’idea sbagliata che hanno inculcato in noi, principalmente per colpa della scuola, è quella: se c’è qualcosa di brutto, incivile e disumano è di sicuro risalente al Medioevo. 

Anche in quel caso, vi è una assai probabile spiegazione per tanta superficialità e colpevole distorsione della realtà storica. L’approfondimento e, soprattutto, l’insegnamento di questo straordinario e mutevolissimo periodo è talmente difficile ed impegnativo da suggerire enormi semplificazioni, quando non anche vere e proprie corbellerie narrative buttate là, tanto per farla breve, e bellamente saltare, se possibile, secoli interi costellati da centinaia di nomi e vicende personali di personaggi illustri, con date incerte ed aleatorie da richiedere uno sforzo mnemonico tutt’altro che lieve. Troppo difficile studiare ed insegnare il Medioevo? Sì, certamente e definitivamente sì.

Autogoverno e competizione

Nei secoli in cui i troni e le dominazioni, per usare le parole delle Sacre Scritture, furono straordinariamente fluidi ed intrinsecamente insicuri è facilmente riscontrabile un desiderio di autogoverno, una forte tendenza al corporativismo (basti pensare alle Compagne della Genova dei Dogi, nate come semplici corporazioni e diventate indispensabili autorità locali ai quali pure i nobili finivano per iscriversi).

Così come non si possono sottacere le grandi rivalità tra le varie famiglie dominanti che, direttamente o indirettamente, portarono ad uno straordinario sforzo di competitività che favorì lo sviluppo del commercio come mai prima di allora e che condusse alla straordinaria epoca dei Comuni.

Le repubbliche marinare

Amalfi, Pisa, Genova, Venezia, ossia le repubbliche marinare, nacquero e dominarono il mondo allora conosciuto proprio tra XI e XIV secolo, e vi pare poco? Se non vi fossero state quelle, il nostro Paese avrebbe dovuto attendere almeno dieci secoli per primeggiare nella produzione e nel commercio di materie prime (soprattutto di produzione agricola) e manufatti di lusso che lo hanno fatto grande e stimatissimo nel mondo (prima di perdere colpi e rispettabilità come stiamo riuscendo benissimo a fare da qualche annetto a questa parte).

Giunti pressappoco alla metà del nostro viaggio, potremmo dire che a rendere affascinante la non agevole lettura delle fonti medievali è la reale possibilità di “riscrivere la storia” interpretando, ciascuno con la propria sensibilità e capacità, quelle narrazioni (prevalentemente di tradizione orale) che sono ancora tutte da esplorare e scoprire.

Certo, fu un’epoca di straordinarie contraddizioni, l’epoca dei dotti e dei guerrieri, quella degli spregiudicati affaristi e quella dei mistici. Oggi, comunque, sembrerebbero esserci residuati solo gli affaristi, rigorosamente travestiti da benefattori dell’umanità.

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