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In difesa del Medioevo/1: siamo proprio sicuri di essere più liberi oggi? – Roberto Ezio Pozzo

Uno dei luoghi comuni più sciocchi che imperversano in quest’epoca di barbarie tecnologica è riferibile alle frasi fatte nelle quali, per indicare un periodo storico di privazione dei diritti e arretratezza culturale e sociale s’indicano proprio gli anni tra la caduta dell’Impero Romano d ‘Occidente (476 d.C.) e la scoperta dell’America (1492), ossia il Medioevo.

In realtà, durante quei mille anni, furono così numerosi i fatti epocali che coinvolsero il mondo conosciuto da suscitare una riflessione che non sia soltanto un approfondimento storico, ma uno sprone a considerare assai meno “civile” ciò che facciamo oggi e, soprattutto, a non attribuirci troppe medaglie al valore, paragonandoci a quegli uomini medievali che, soltanto a studiarli un pochino, tanto meno civili di noi non lo furono di certo.

Un’epoca poco studiata

In questo veloce viaggio nei tempi delle spade e dei castelli, mi piacerebbe gettare il seme della curiosità per un periodo storico, questo sì, assai poco noto alla maggioranza di noi e certamente poco approfondito dai programmi scolastici di Storia.

Siamo sinceri, magari anche soltanto con noi stessi: a parte Carlo Magno (che al Medioevo vero e proprio ebbe appena il tempo di affacciarsi) e la struttura feudale (molto più complessa di quella dei vassalli, valvassori e valvassini che ricordiamo come una poesiola infantile imparata a memoria) ne sappiamo assai meno di quanto meriterebbe.

Il popolo contava

Tanto per cominciare, uno degli errori più frequenti che commettono i nostri giovani, incolpevolmente lasciati quasi a digiuno dell’insegnamento di periodi storici assolutamente irrinunciabili, è quello di considerare la società attuale come caratterizzata dalla estrema velocità dei cambiamenti sociali, intesa come epoca delle grandi rivoluzioni culturali, mentre il povero Medioevo pare a loro l’epoca dei tempi lunghissimi, della persistenza di situazioni che opprimevano le popolazioni inermi, disorganizzate e di nessuna iniziativa.

Sbagliatissimo. I potenti medievali, imperatori o re che fossero, papi e vescovi che almeno provassero a comandare per imporre il loro potere temporale, crociati e condottieri dall’insuperabile abilità militare, ben presto dovettero tutti fare i conti col popolo. Possiamo dire, se mi permetterete una sintesi lievemente iperbolica, che il popolo contava assai di più nel Medioevo rispetto ad oggi.

L’arma dei contadini

In quel sistema economico, intanto, i rurali possedevano un’arma efficacissima, costituita dalla insopprimibile necessità di fornire, col lavoro nei campi, il sostentamento (anche) ai nobili ed agli esponenti del clero. Senza il lavoro nei campi non si mangiava né ci si riparava dal freddo.

Allora le macchine agricole ed i sistemi meccanizzati di trasformazione delle materie prime in prodotti finiti erano ancora inesistenti e ci volle un Leonardo da Vinci (che, ricordiamolo, operò soltanto negli ultimi anni del Medioevo) a soltanto ipotizzare e progettare le prime vere macchine al servizio dell’uomo.

Quale la vera contropartita, che, oltre alla paga per i prodotti ricevuti, potevano fornire le classi superiori? Innanzi tutto l’istruzione. Ecco realizzarsi, sebbene con un principio che potremmo oggi definire impopolare, una forma di coesione sociale tra diverse parti della società, l’una delle quali aveva bisogno dell’altra per sopravvivere.

Mobilità sociale

In una specie di simbiosi mutualistica, le diverse classi sociali, in sostanza regolate da rapporti assai meno conflittuali di quanto si possa ritenere oggi, il contado ed i commercianti fornivano alle classi dotate del potere l’indispensabile; chi lo riceveva dava ai popolani la possibilità di istruirsi (nei conventi) oppure di diventare soldati, per iniziare l’indispensabile trafila del miglioramento delle loro condizioni di vita, che vedeva come primo scalino (per chi non volesse prendere i voti) l’aver appreso la disciplina e qualche tecnica militare.

Bisogna considerare questo rapporto a prestazioni corrispettive con l’occhio neutrale dello storico, ossia mettendo da parte ogni valutazione ideologica. A quel punto si potrà già intravedere uno schema sociale basato più sulla reciproca convenienza che sull’imposizione.

Un po’ approssimativamente, potremmo dire che nel Medioevo ciascuno era in gran parte artefice del proprio destino, scegliendo se accontentarsi di campare con la produzione o la vendita di beni tutti più che necessari, e quindi vendibilissimi (all’epoca non si producevano beni inutili) oppure se almeno tentare la scalata sociale attraverso lo studio e l’apprendimento delle discipline militari.

Ovviamente, v’era poi chi varcava le soglie dei conventi, e sappiamo per certo che non necessariamente vi doveva restare tutta la vita, anzi, erano certamente assai più di oggi gli ex religiosi passati allo stato laicale ed affermatisi in altro modo.

Concludo questo semplice ragionamento sul Medioevo con questa considerazione. Se fossimo oggi veramente liberi di scegliere il nostro stato sociale, il nostro lavoro, il nostro ruolo nella società e potessimo affermare con certezza che chiunque voglia fare qualcosa, innanzi tutto, sia autorizzato dal nostro Stato (padrone) a farla, trovi facilmente lo spazio ed i mezzi per farla, e gli venga riconosciuto che ciò che fa sia necessario, potremmo anche considerare il Medioevo come un periodo meno luminoso (per quanto non di certo buio) dei nostri tempi.

Ma siamo certi che sia così? Certo, ci si doveva contentare di fare quelle poche cose che la civiltà di allora riteneva importanti, ossia, in buona sostanza, o il prete, o il soldato, il contadino e (forse) il commerciante. Allora, internet non esisteva e di campare facendo l’influencer non se ne parlava proprio, ma, probabilmente (non abbiamo elementi statistici ed anagrafici per sostenerlo coi dati) i poveri erano assai meno di oggi.

Non possiamo impartire lezioni

Constatiamo anche che dei grandi personaggi locali passati alla storia durante quel periodo ne leggiamo i nomi nelle vie di ogni anche più piccolo Paese d’Italia, fatto che, già da solo, suggerirebbe di andarci piano a etichettare il Medioevo come l’epoca dell’ignoranza e della sopraffazione brutale come unica ragion di vita.

Con tanti emeriti ignoranti e paucifacenti “di successo” di oggi, no, non possiamo permettercelo. Sbaglierò, ma ho l’impressione che l’uomo del terzo millennio non sia titolato ad impartire lezioni di civiltà assoluta e cristallina né a ritenersi migliore dell’homo dell’età di mezzo.

Se la cosa v’interessa, potremo continuare la chiacchierata. Potrebbero esserci altri particolari degni di nota.

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