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Il terremoto mina Erdogan. L'opposizione teme il rinvio del voto

Il terremoto che ha sconvolto Turchia e Siria diventa inevitabilmente un tema di carattere politico. E per Ankara anche una questione di ordine elettorale, dal momento che a maggio di quest’anno si dovrebbero tenere le elezioni generale.

Usiamo il condizionale poiché dopo il sisma sono in tanti a ipotizzare che il governo e soprattutto il presidente Recep Tayyip Erdogan possano premere un rinvio della tornata elettorale. Il leader turco, che aspetta queste elezioni come la prova finale della sua lunga stagione di potere in concomitanza del centenario della Repubblica, si trova infatti in una situazione molto complessa. Dopo avere voluto anticipare le elezioni a maggio, in parte anche per incassare il consenso prima che l’opposizione riuscisse a fare quadrato intorno a un unico candidato forte, Erdogan si trova a dover gestire non solo un terremoto devastante, ma anche un duplice problema: di consenso e di gestione delle province colpite.

Sotto il primo aspetto, tanti lo accusano non solo dei ritardi nei soccorsi, ma anche di avere lasciato costruire senza rispettare le regole. Il rischio, dunque, è che il terremoto del sud possa essere una mannaia su una presidenza già indebolita dalla pesante crisi economica, con una disaffezione che potrebbe coinvolgere non più solo i grandi centri della parte occidentale, ma anche altri segmenti della popolazione. L’opposizione, inoltre, possiede in questo momento diverse carte da giocare a livello elettorale per colpire duramente la leadership del Sultano. E dal momento che risulta difficile immaginare una ricostruzione a tappe forzate entro giugno (già solo ritornando alla data originale, come pare ormai certo), l’immagine di sfollati e città distrutte sarebbe già un macigno politico. Erdogan sta provando a riabilitarsi puntando su piani di opere pubbliche, edificazione delle aree colpite e arrestando i costruttori che hanno operato nelle aree devastate dal sisma. Una mossa disperata e distrattive che potrebbe in ogni caso non bastare, anche perché non si placano le polemiche per l’incontrollato boom edilizio negli anni erdoganiani, così come il tema di un governo accusato di avere dimenticato il sistema di prevenzione e di risposta alle emergenze.

Sotto il secondo aspetto, alcuni osservatori in linea con le posizioni del rinvio hanno segnalato che effettivamente appare difficile, almeno per il momento, sostenere l’ipotesi di elezioni regolari nelle province colpite. I sopravvissuti sono in larga parte sfollati e senza più certificati, molti uffici sono distrutti, tanti hanno già trovato riparo altrove o si sono direttamente trasferiti (o si trasferiranno) in altre province. In più anche svolgere la normale campagna elettorale risulterebbe estremamente difficile, andando però a incidere su un’area di circa dieci milioni di abitanti.

Le opposizioni incalzano, per la prima volta compatte verso il voto. Kemal Kilicdaroglu, presidente del Partito popolare repubblicano (Chp) e considerato il potenziale leader anti-Erdogan, chiede che non ci siano ritardi. Il portale Middle East Eye ha riportato anche le dichiarazioni di Selahattin Demirtas, l’ex presidente del Partito democratico dei popoli (Hdp) che ha parlato di qualsiasi tentativo di posticipo del voto come di un “golpe”. Anche Meral Aksener, leader del partito nazionalista “Buon Partito”, ha confermato che le opposizioni lavorano affinché il voto si tenga a giugno come previsto dalla Costituzione, facendo quindi intendere che si immagina già saltato il piano del presidente di far votare a maggio ritornando invece alla data originale.

La Costituzione rimane in ogni caso il grande nodo legale. Gli esperti sottolineano che posticipare la data del voto necessita di un emendamento costituzionale che deve essere approvato da 400 deputati. L’articolo 78 della carta fondamentale turca, infatti, prevede che le elezioni possano essere posticipate di un anno solo in caso di guerra. Erdogan non ha i numeri per fare da solo con la sua maggioranza e modificare il testo, e quindi sarebbe costretto a mediare con l’opposizione, la quale però non ha interesse a dare una mano all’attuale capo dello Stato. Altri accademici ritengono che a gestire il dossier possa essere il Consiglio elettorale supremo (Ysk), che in qualità di massima autorità turca in materia elettorale, potrebbe anche decidere di rinviare le elezioni a causa delle situazione gravemente deficitaria delle provincie colpite dal sisma. L’ipotesi ha un precedente, quello del terremoto di Varto (nella Turchia orientale) del 1966, quando le elezioni locali furono rimandate. Tuttavia, i giuristi sentiti sempre da Middle East Eye, hanno sottolineato che difficilmente l’Ysk prenderebbe una decisione così divisiva a livello politico e decisiva dal punto di vista del sistema di potere.

Rimane quindi il punto interrogativo di cosa farà Erdogan, che al momento sembra avere completamente abbandonato discussioni elettorali per concentrarsi esclusivamente sulle conseguenze del terremoto. Per il presidente turco, quanto accaduto nell’area sudorientale del Paese può essere un colpo molto duro e in grado di scalfire le certezze della rielezione. La gestione dei soccorsi, degli aiuti internazionali e della ricostruzione sarà probabilmente decisiva per blindare il consenso e puntare al mandato della consacrazione come leader di una Turchia ormai plasmata dal “Sultano”. Ma la rabbia, già innescata da diversi temi irrisolti, potrebbe prendere il sopravvento sia se le elezioni saranno rimandate, sia se saranno mantenute tra maggio e giugno.

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