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Gennady Zyuganov, l'ultimo comunista di Russia

Gennady Andreevič Zyuganov nasce in un minuscolo villaggio nell’oblast’ di Orël, Mimrino, il 26 giugno 1944. Proveniente da una famiglia di insegnanti, Zyuganov studia fisica con l’obiettivo di diventare un professore e di proseguire, dunque, la tradizione ereditata da genitori e nonni.

Il 1961 è l’anno del compimento del sogno di famiglia: Zyuganov riceve tre cattedre presso la scuola in cui si è appena diplomato, la secondaria di Mymrinsk, ottenendo di insegnare matematica, fisica e addestramento militare basico. Ma l’esperienza dura soltanto un anno, perché nel 1962 abbandona l’incarico per studiare matematica e fisica all’università statale di Orël.

Per un breve periodo, dal 1963 al 1966, Zyuganov mette in stand-by gli studi per servire nell’unità di intelligence biologica, chimica e radiologica del Gruppo di forze sovietiche in Germania. Di ritorno a Orël, nel 1966, premerà sull’acceleratore per completare la laurea, conseguita infine nel 1969.

Terminare ciò che aveva iniziato era un dovere nei confronti di se stesso, ma Zyuganov aveva cambiato idea sul proprio futuro: non sarebbe stato un insegnante. Iscrittosi al Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), il giovane diventa in breve tempo il primo segretario della Komsomol di Orël, trampolino di lancio verso gli apparati nazionali.

Dopo un trascorso a Mosca, utilizzato per perfezionare gli studi e per addentrarsi negli ambienti che contano, Zyuganov fa ritorno a Orël. Questa volta, però, per ricoprire il ruolo di capo dell’ideologia e della propaganda della sezione locale del PCUS. Nel 1983, dopo tre anni di capo ideologo regionale, a Zyuganov viene offerta una posizione prestigiosa nella capitale: istruttore nel dipartimento della propaganda del PCUS.

Il trasferimento a Mosca è il coronamento di un sogno. Un sogno destinato a durare poco, però, perché l’epopea sovietica è agli sgoccioli. A Orël lo si poteva ignorare, ma a Mosca la sensazione della fine permeava l’aria. Affranto, ma non vinto, Zyuganov si sarebbe trasformato in uno dei più grandi detrattori del riformismo di Michail Gorbačëv.

Il 1991 è l’anno della discesa in campo di Zyuganov. È l’anno della pubblicazione di due aspre lettere aperte sulla Sovetskaya Rossiya, una indirizzata ad Aleksandr Jakovlev, l’ideologo della perestrojka, e una all’emergente Boris Eltsin. Le lettere sono la prova che Zyuganov, sino ad allora un funzionario semisconosciuto e ininfluente, coltiva aspirazioni presidenziali.

Quando l’Unione Sovietica giunge al capolinea, e con lei il PCUS, Zyuganov si organizza per dare vita al Partito Comunista della Federazione Russa, del quale diventa prima co-segretario e poi, nel 1993, presidente. Aiutato dai modi autoritari, dalla noncuranza per i problemi sociali e dalla pessima gestione dell’economia di Eltsin, che col tempo avrebbero trascinato la neonata Russia in una quasi guerra civile, Zyuganov emerge come il capofila dell’opposizione.

La ricetta per la salvezza proposta da Zyuganov si basa sulla mescolanza di elementi comunisti – controllo statale dell’economia, pianificazione delle attività produttive, rinazionalizzazione delle grandi imprese che sono state privatizzate – e patriottici – il culto della Russia in sostituzione della defunta rivoluzione –, e vuole creare un fronte comune contro Eltsin che trascenda i concetti di destra e sinistra. L’idea piace, così suggeriscono i numeri su tesseramenti e manifestazioni, e Zyuganov si candida alla presidenza nel 1996.

La possibilità che Zyuganov possa vincere e dare seguito alle promesse di restaurare l’Unione Sovietica è molto concreta. È un trascinatore di folle, ha appena conquistato la maggioranza alla Duma, mentre Eltsin è inviso al ceto medio impoverito e ai ceti popolari affamati dalle sue politiche che hanno condotto al cosiddetto “genocidio economico”. Zyuganov sarà fermato, questo giureranno di fare i sette banchieri, perché rappresenta una minaccia per il (nuovo) sistema emerso dalle ceneri dell’Unione Sovietica.

In quello stesso anno, mentre Zyuganov è convinto di sentire il sapore della vittoria nell’aria, ai margini del Forum Economico Mondiale viene stretto il “patto di Davos” tra i sette banchieri e i loro sponsor occidentali. Obiettivo dichiarato del patto, la cui esistenza sarebbe venuta alla luce soltanto anni più tardi, era di impedire la vittoria di Zyuganov finanziando la campagna elettorale di Eltsin e trasformando l’intero mondo dell’informazione in una macchina propagandistica anticomunista.

Il 16 giugno, a ultima scheda scrutinata, l’amara sorpresa per Zyuganov: secondo posto, con il 32% delle preferenze. Eltsin e il nuovo sistema avevano prevalso, anche se di poco (35%), conquistando un ulteriore mandato. Ma il redivivo stato profondo, sopravvissuto alle purghe e in fase di riorganizzazione, di lì a poco avrebbe posto prematuramente fine al dominio di Davos su Mosca. Lo avrebbe fatto l’ultima sera del 1999, data altamente simbolica, costringendo Eltsin a cedere lo scettro ad un oscuro e semisconosciuto securocrate di nome Vladimir Putin.

Che il sogno di ascendere al Cremlino fosse già finito, Zyuganov lo avrebbe capito molto presto, alle presidenziali del 2000: secondo posto, con il 29% dei voti, dietro al roboante 53,4% di Putin. Un risultato inevitabile, impossibile da alterare, giacché il popolo aveva apprezzato l’umiliante uscita di scena di Eltsin e la durezza del neopresidente nei confronti del terrorismo ceceno.

Dopo un periodo di iniziale ostilità, probabilmente genuina, tra Zyuganov e Putin si è instaurato un rapporto basato sulla competizione controllata, non privo, comunque, di episodici disaccordi e tensioni. A Zyuganov è stato affidato il ruolo di capofila dell’opposizione sistemica, cioè quella legalizzata, tollerata e persino utile al Cremlino per dare una parvenza di democraticità al regime, che ha permesso al Partito comunista di sopravvivere, crescere e fuggire a censure e repressione.

Eterno candidato alla presidenza, eterno secondo, Zyuganov ha vinto la stima e il rispetto di Putin, per il quale è un uomo indispensabile – perché in grado di sottrarre voti a radicalismi extraparlamentari –, come dimostrato dagli scambi di regali tra i due e dalla collaborazione parlamentare tra comunisti e Russia Unita. Finta opposizione.

La cooperazione tra Zyuganov e Putin, inizialmente circoscritta all’egemonizzazione del panorama partitico, col tempo si è estesa alla legislazione e alla politica estera. Di Zyuganov è stata l’idea di porre fine alla demonizzazione di Stalin – cosa poi avvenuta a partire dal 2012. Il leader comunista ha supportato l’entrata in vigore della legge sulla propaganda gay. E sempre Zyuganov ha sostenuto il pivot to China e gli sforzi per ravvicinare le repubbliche ex sovietiche nell’Unione Economica Eurasiatica.

Fondamentale è stato il ruolo rivestito da Zyuganov, lo spianatore di tendenze di Putin, nello scoppio della guerra in Ucraina. Dal Partito Comunista è infatti provenuta la proposta di riconoscere l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, in data 15 febbraio 2022, che, approvata dalla Duma sei giorni dopo, ha creato il presupposto legale per l’invasione dell’Ucraina: gli accordi di amicizia, cooperazione e assistenza con le due entità.

Zyuganov non è riuscito a trasporre in realtà il sogno più recondito, quello di sedersi sul trono del Cremlino, ma, intuendo i benefici promananti da un sano e intelligente modus vivendi con Putin, ha ottenuto qualcosa di parimenti importante: il potere di incidere sul corso degli eventi e di trasformarsi in un rivale indispensabile. Perché se è vero che Zyuganov senza Putin sarebbe cieco, lo è altrettanto che Putin senza Zyuganov sarebbe zoppo.

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