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Dopo Bakhmut è a Vuhledar che si consuma la guerra d'attrito

Vuhledar è una cittadina che prima del conflitto faceva contare 14mila abitanti situata a circa 38 chilometri a sudovest di Donetsk. L’insediamento fu fondato attorno alla miniera di carbone di Pivdennodonbaska 1 e si prevedeva di trasformarlo in una grande città industriale, ma negli anni ’70 lo sviluppo delle riserve di carbone nel bacino meridionale del Donbass era ritenuto meno promettente di quello nel Kuzbass, quindi il centro abitato è cresciuto solo fino alle dimensioni di una piccola città.

Qui il fronte corre grossomodo in direzione est-ovest sino a Vasylivka, a sud di Zaporizhzhia, dove incontra quella barriera naturale rappresentata dal fiume Dnepr che qui si allarga a dismisura a formare un vero e proprio lago. Il terreno è pressoché pianeggiante, caratterizzato da ampi campi coltivati e piccoli canali di irrigazione, con qualche bacino idrico di modeste dimensioni addossato alla cittadina, situata a poca distanza da un’importante arteria viaria passante per Pavlivka – occupata dai russi – la T0509.

L’offensiva russa, che si sta lentamente sviluppando lungo tutta la linea del fronte, vede in Vuhledar uno dei suoi schwerpunkt così come avviene a Bakhmut.

Un punto nevralgico

Il controllo della cittadina è infatti importante per mettere in sicurezza il crocevia che porta in direzione di Donetsk e la T0509, che corre in direzione est-ovest, inoltre la posizione è idonea per cercare di avanzare nell’oblast omonimo in direzione del capoluogo, aggirando le difese ucraine che proprio a Donetsk sono maggiormente organizzate per via di un conflitto intestino che perdura sin dal 2014.

L’azione russa in questa porzione del fronte si è delineata ai primi di febbraio, in concomitanza ad altri tentativi di guadagnare terreno lungo la linea di contatto verso Zaporizhzhia e successivamente alla presa di Soledar e all’assedio di Bakhmut, dove l’esercito di Mosca, supportato da unità del Gruppo Wagner, fatica a prendere possesso della cittadina.

Qui, a Vuhledar, sembra che si stia ripetendo lo stesso copione visto a Bakhmut: i russi spingono, soprattutto nella zona di Shevchenko e di Prechystivka, ma non sfondano nonostante continuino a gettare risorse nel settore, articolando attacchi più piccoli rispetto all’inizio delle operazioni.

Il nodo delle perdite russe

Le perdite russe sono ingenti: alcune fonti riportano che la 155esima brigata di fanteria di marina è stata praticamente decimata, e immagini giunteci da fonti Osint (Open Source Intelligence) mostrano come le colonne corazzate e meccanizzate russe siano incappate in una vera e propria imboscata, finendo in campi minati e venendo bersagliate dall’artiglieria della 72esima brigata meccanizzata ucraina, della 55esima di fanteria e dalla 35esima dei Marines che sono trincerate nei dintorni della cittadina. Al 16 febbraio, si contavano 5 carri armati russi andati distrutti, 26 abbandonati, uno catturato e un altro gravemente danneggiato; gli Ifv (Infantry Fighting Vehicle) distrutti erano 22, 10 abbandonati e uno danneggiato. In totale, comprendendo anche altri veicoli, si calcola che l’esercito russo abbia perso 71 mezzi: più dell’equivalente di un battaglione corazzato (composto, nell’esercito americano, da 58 veicoli). Non sappiamo praticamente nulla delle perdite ucraine, ma data la disparità dell’artiglieria in campo è presumibile che siano altrettanto ingenti.

L’attività dell’artiglieria russa degli ultimi due giorni si è concentrata in una zona residenziale a est di Pavlivka, a ridosso di un piccolo bacino idrico, e potrebbe quindi indicare che gli ucraini siano riusciti ad avanzare in una posizione dalla quale facilmente è possibile bersagliare la T0509, ma non ci sono conferme visive.

Altre immagini invece evidenziano le difficoltà incontrare dai russi nella loro offensiva: la concentrazione di campi minati e il terreno aperto e pianeggiante che permette un tiro molto preciso di artiglieria, ha scompaginato le unità meccanizzate/corazzate, pertanto l’esercito russo sta usando le unità di fanteria in attacchi a ondate, come nella migliore tradizione della guerra di trincea.

I video che ci giungono dal fronte mostrano tutta la crudezza di questa battaglia, che viene combattuta nei campi coltivati ridotti a paesaggio lunare dal tiro delle rispettive artiglierie, mentre la cittadina di Vuhledar è ormai un cumulo di rovine costellato da scheletri di palazzine, esattamente come abbiamo visto a Bakhmut e in tantissime altre cittadine diventate palcoscenico di questa guerra.

Come detto, tutto il fronte è attivo, eccezion fatta per quella parte in cui scorre lungo il fiume Dnepr, dove si assiste a sporadici interventi delle artiglierie che diventano più intensi nella città di Kherson. L’iniziativa, nonostante le difficoltà e le perdite, è tornata saldamente in mano russa: il Cremlino sta cercando di completare l’occupazione degli oblast di Donetsk e Luhansk e di allargare la fascia di territorio che va dal Mare di Azov verso l’interno, per poter mettere in sicurezza le linee di comunicazione terrestri che vanno dalla Federazione verso la Crimea.

Una volta ottenuti questi obiettivi, Mosca potrebbe anche ritenersi soddisfatta e aprire a trattative di pace: sul fronte interno, dopo anni di propaganda, ottenere la “liberazione” dell’intero Donbass potrebbe essere sufficiente per garantire ancora qualche anno di leadership all’attuale compagine politica al potere, mentre il controllo di un’ampia fascia costiera darebbe un po’ di profondità strategica, accontentando i militari meno oltranzisti.

Alla vigilia della data che segna un anno dall’inizio del conflitto, e in attesa di vedere se davvero la Russia scatenerà una massiccia offensiva aerea come affermato dall’Ucraina – riteniamo questa possibilità scarsamente probabile –, il conflitto ha assunto la forma di una guerra di trincea in cui, paradossalmente, Mosca perderà, avendo mancato i suoi obiettivi strategici per i quali ha iniziato il conflitto, ma al tempo stesso Kiev non vincerà, avendo perso definitivamente il controllo del 20% del suo territorio.

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