A Davos dal 16 al 20 gennaio va in scena la globalizzazione colpita dalle crisi convergenti delle tensioni geopolitiche, delle problematiche economiche, delle sfide energetiche e della questione ambientale. Va in scena nella nuova edizione del summit del World Economic Forum che nello slogan recita “Cooperazione in un mondo frammentato”. Un titolo azzeccato, che svela come ormai il mondo di Davos sia passato da essere il terreno di esaltazione della globalizzazione a diventare la base dei mea culpa sistemici contro le sue crisi struttrali.
Non esiste più il mito dell’uomo di Davos, poliglotta e liquido interprete della globalizzazione formato Flatlandia del sogno liberale Anni Novanta in cui le uniche due dimensioni globali accettabili erano mercato e liberaldemocrazia. Esiste però ancora il ridotto sulle Alpi svizzere in cui, anno dopo anno, il think tank di Klaus Schwab riunisce manager, decisori politici, opinion leader, scienziati per discutere sul futuro della globalizzazione. In nome del “capitalismo dal volto umano“ dei portatori di interesse, gli stakeholder, sostanziatosi nel sostegno alla transizione energetica e al governo della rivoluzione digitale che tanto ha fatto agitare i cantori del complotto (il famigerato “Grande Reset” visto come progetto globale guidato da Davos) l’élite riunita dal Wef si fa anno dopo anno meno cosmopolita e più tesa a ragionamenti tutt’altro che “positivisti” sul futuro della globalizzazione.
“La Montagna Incantata, Il classico romanzo di Thomas Mann, ambientato a Davos, sullo sfondo di una malattia mortale e di un’imminente guerra mondiale, è stato pubblicato quasi un secolo fa”, nota con attenzione il Financial Times. “Ma – continua il quotidiano anglosassone – mentre i delegati del World Economic Forum si riuniscono di nuovo a Davos quest’anno, il mondo di Mann si sente scomodamente vicino al nostro. Il timore che assilla il WEF è che un lungo periodo di pace, prosperità e integrazione economica globale possa volgere al termine, proprio come accadde nel 1914″.
Le nuove sfide di una Davos disincantata
La pace è finita, come ricorda il titolo dell’omonimo saggio del direttore di Limes Lucio Caracciolo, ma gramscianamente parlando siamo in una fase di interregno. Nel lungo ventennio delle emergenze tra l’11 settembre e il Covid la globalizzazione come la conoscevamo si è trasfigurata, ma il nuovo ordine deve ancora emergere. Certamente è finita la Flatlandia che spesso a Davos si è immaginata promuovendo a nuovi cantori dell’ordine globale star mediatiche, miliardari-filantropi e attivisti mettendo in secondo ruolo la politica.
Negli ultimi anni Davos è stata la capitale del ritorno del primato della politica nel mondo globalizzato. Ha iniziato nel 2017 Xi Jinping, hanno proseguito nei due anni successivi Narendra Modi e Jair Bolsonaro: la sfilata di leader dei Paesi non più “in via di sviluppo” ha reso globale l’agenda di Davos. Il Covid ha portato il forum di Schwab a interrogarsi sul futuro stesso della globalizzazione, la guerra russo-ucraina ha nettamente politicizzato, in senso critico a Mosca, l’edizione 2022.
Ora l’obiettivo è capire se Davos sarà ancora la “Montagna incantata” in cui le crisi vengono discusse e analizzate o se dalla cittadina svizzera inizierà la retorica della de-globalizzazione spinta. In ogni caso, il centro alpino apparso in passato torre d’avorio lontana dalla realtà di un mondo in cambiamento sta provando, timidamente, ad approcciarsi ad esso.
Da cantore della globalizzazione, il Forum di Davos vuole diventare araldo del suo cambiamento dopo aver interiorizzato gli effetti delle spinte sovraniste e delle pulsioni critiche ricevute da ambientalisti, organizzazioni sindacali, istituzioni religiose per la natura eccessivamente accentratrice del sistema finanziario globale sulle altre componenti della globalizzazione stessa. Perché questa svolta sia completa, servirà fornire una base di dialogo non solo per analizzare i problemi ma anche per risolverli. Fornendo, con quella disintermediazione che la natura privatistica del contesto può aiutare a realizzare, ciò che oggi appare rivoluzionario nelle relazioni internazionali: la possibilità di occasioni franche di confronto tra élite di segno politico, obiettivi e visione differenti che si troveranno, per cinque giorni, gomito a gomito a Davos. Capitale della globalizzazione, ieri come oggi.
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