L’Arabia Saudita ha accettato di aderire come “partner di dialogo” alla Shanghai Cooperation Organization (SCO), l’organizzazione che unisce diversi Paesi dell’area eurasiatica per la collaborazione in materia di politica e di sicurezza istituita a Pechino, in Cina, nel 2001.
Attenzione alle tempistiche: la fumata bianca proveniente da Riyadh è arrivata a meno di tre settimane dallo storico accordo di riconciliazione diplomatica tra l’Arabia Saudita e l’Iran mediato dalla Cina, nonché a tre mesi dal viaggio di Xi Jinping nel regno saudita. Significa quindi che l’influenza del Dragone in Medio Oriente sta continuando ad avere slancio, con risultati concreti.
Ma non è finita qui, perché il rafforzamento delle relazioni tra la Cina e l’Arabia Saudita passa anche attraverso un altro doppio, importante, annuncio economico. La compagnia nazionale saudita di idrocarburi Saudi Aramco ha infatti lanciato un investimento multimiliardario nel nord-est della Cina acquisendo una partecipazione in un gruppo petrolchimico, e resa nota l’intenzione di voler costruire una nuova raffineria e un complesso petrolchimico nella medesima area.
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Riyadh si avvicina a Pechino
Per quanto riguarda l’adesione dell’Arabia Saudita alla SCO, ricordiamo che la Shanghai Cooperation Organization è stata fondata nel 2001 come organizzazione politica, economica e di sicurezza per competere con le istituzioni occidentali.
Insieme alla Cina, i suoi otto membri includono India, Pakistan e Russia, oltre a quattro Paesi dell’Asia centrale, ovvero Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan. Anche Qatar, Iran ed Egitto, come l’Arabia Saudita, sono partner di dialogo della SCO, in un primo step che, in linea teorica, dovrebbe portare verso la loro piena adesione all’Organizzazione.
A Washington, il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Vedant Patel, ha minimizzato l’impatto della mossa saudita, dicendo che era attesa da tempo. “Ogni paese ha le sue relazioni”, ha dichiarato Patel. Nel frattempo, in una telefonata con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, Xi ha lodato quello che ha definito l’allentamento delle tensioni in Medio Oriente. Un altro piccolo tassello nella cosiddetta pax sinica sognata da Pechino.
Affari e accordi
Caldissimo anche il fronte saudita-cinese degli accordi. La città cinese di Panjin, nella provincia di Liaoning, nel nord-est della Cina, ha assistito alla posa della prima pietra di un’enorme raffineria che verrà costruita congiuntamente dal Paese asiatico e dall’Arabia Saudita, attraverso la joint venture Huajin Aramco Petrochemical Company.
Saudi Aramco, che detiene il 30 per cento di Huaji Aramco, fornirà al complesso fino a 210 mila barili al giorno di greggio. La North Huajin Chemical Industries Group Corporation e il gruppo Panjin XinCheng deterranno, rispettivamente, il 51 e il 19 per cento. Il progetto prevede un investimento di circa 12,2 miliardi di dollari e dovrebbe essere completato entro il 2025, per poi entrare in funzione nel 2026. La capacità di raffinazione totale dovrebbe raggiungere 15 milioni di tonnellate all’anno, e l’impianto produrrà anche 1,65 milioni di tonnellate di etilene e 2 milioni di paraxilene.
“Questo progetto è una pietra miliare dei nostri sforzi a sostegno di un settore a valle integrato in Cina, dove i prodotti petrolchimici contribuiranno al nostro successo”, ha affermato Mohammed al Qahtani, vicepresidente esecutivo di Saudi Aramco per le operazioni a valle durante la cerimonia di inaugurazione dei lavori.
Come se non bastasse, Aramco acquisirà una partecipazione del 10% nella cinese Rongsheng Petrochemical Co. Ltd., in un acquisto del valore di 3,6 miliardi di dollari e fornirà 480.000 barili al giorno all’affiliata di Rongsheng Zhejiang Petroleum and Chemical Co. Ltd., che possiede e gestisce il più grande complesso chimico e di raffinazione della Cina. Entrambi gli accordi rientrano nell’ambito della Belt and Road Initiative (BRI), hanno sottolineato i media cinesi.
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