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Così Russia e Cina cooperano in Africa

La volontà di Russia e Cina di creare un nuovo ordine globale passa dai Paesi in via di sviluppo. Dal sud-est asiatico, ma ancor di più da America Latina e Africa, e cioè dal cosiddetto sud del mondo. Qui, dove sorgono nazioni spesso in difficoltà economica, travolte da scenari politici instabili e prive degli strumenti per modernizzarsi, la longa manus di Pechino ha saputo trovare terreno fertile per instaurare solide relazioni diplomatiche, presto mutate in solidi rapporti economici.

Nel continente africano, in particolare, il piglio commerciale cinese si è incrociato, spesso sovrapposto, alla presenza russa, con Mosca orientata quasi solo ed esclusivamente ad esportare armamenti e servizi militari ai governi locali.

In una cornice del genere assume particolare rilevanza l’indiscrezione diffusa da Bloomberg, secondo cui Yevgeny Prigozhin, il fondatore del gruppo mercenario Wagner, starebbe preparando un ridimensionamento delle operazioni del suo esercito privato in Ucraina a causa della carenza di uomini e munizioni, per spostare nuovamente l’attenzione sull’Africa.

Il diretto interessato ha smentito la notizia, eppure alcune fonti sostengono che le tensioni tra il fondatore del gruppo di mercenari e il Cremlino avrebbero provocato serie divergenze. In attesa di capire se Prigozhin intenderà ridistribuire i suoi uomini nella regione africana, vale la pena misurare il grado di cooperazione sino-russa nel Continente Nero.

La Repubblica Centrafricana è l’esempio lampante di quanto possono risultare complementari le attività russe e cinesi in Africa, entrambe volte ad ottenere i massimi vantaggi a discapito di una presenza occidentale ormai evaporata come neve al sole. La scorsa domenica nove tecnici cinesi impegnati in attività estrattive presso la miniera di Chimbolo sono rimasti vittime di un attacco armato. Dalla capitale Bangui, ha sottolineato Repubblica, i mercenari della Wagner si sono subito fiondati sul luogo della strage per ristabilire l’ordine e punire i colpevoli. Questa vicenda illustra, dunque, la simbiosi sino-russa: investimenti, infrastrutture e finanziamenti cinesi accompagnati da armi e vigilanza made in Russia.



Il “laboratorio africano”

Il discorso è ovviamente molto più ampio e non riguarda soltanto la Repubblica Centrafricana. Il Maghreb, giusto per fare un altro esempio, ha smesso di essere un affare solo europeo. Ci sono altri attori che stanno gradualmente estromettendo la storica influenza che la Francia e altre potenze affini avevano sempre esercitato sull’Africa nord-occidentale. Mauritania, Marocco, Tunisia, Libia, l’Algeria: a queste latitudini è sempre più marcata e forte la presenza di Cina e Russia. La conseguenza più importante per il Vecchio Continente coincide con la creazione di relazioni diplomatiche alternative ai tradizionali legami vigenti tra i Paesi nordafricani e quelli europei. E con l’inevitabile eclissi, dunque, del coinvolgimento di questi ultimi dalle vicende locali.

Il binomio Russia-Cina si manifesta secondo uno schema semplice. Pechino porta avanti i suoi programmi infrastrutturali ed economici, costruendo strade, porti, aeroporti, scuole, edifici e palazzi governativi, cercando di calamitare a sé le economie locali. Ecco la Nuova Via della Seta africana, il cui peso può essere sintetizzato leggendo alcuni numeri. Nel periodo compreso tra il 2005 e il 2018, il Dragone ha investito nel Continente Nero qualcosa come 299 miliardi di dollari (dati del China Investment Global Tracker), mentre altre decine di miliardi di dollari sono in procinto di prendere la strada africana. Una pioggia di soldi che si è riversata nella costruzione di infrastrutture di ogni tipo.

Qui entra in gioco la Russia, perché le costruzioni realizzate dalle imprese cinesi necessitano di protezione dalle milizie tribali e dai jihadisti. Il Gruppo Wagner è attivissimo in Africa, dove ha già completato diverse missioni per scacciare i terroristi nemici delle autorità africane, spesso dittature ben felici di stringere accordi con i mercenari di Prigozhin anziché con l’Occidente.

Battaglia dopo battaglia, Mosca ha così intensificato la propria presenza in Libia, Burkina Faso, Mali e Sudan. I prossimi passi coincidono con Costa d’Avorio e Ciad. Molto più vasta, invece, la presenza cinese, che si trova praticamente in tutto il continente.

Armi e mercenari

Negli ultimi mesi l’Africa ha assistito ad un fenomeno per certi versi inedito. La Cina ha rafforzato le sue relazioni con molteplici governi africani incrementando la cooperazione in materia di sicurezza e difesa.

Poco meno della metà dell’equipaggiamento militare destinato all’Africa proviene dalla Russia. Mosca vanta profondi legami storici nel Continente Nero – che risalgono alle lotte di liberazione anticoloniali degli anni ’50 e ’60 – ma da quando le forze russe sono state impegnate nella cosiddetta operazione militare speciale sul territorio ucraino, il Cremlino ha iniziato ad avere ben altri pensieri per la testa che non inviare armi in giro per il mondo.

La Cina si è fatta avanti. Nello specifico, quasi il 70% dei 54 Paesi del continente africano possiede veicoli militari corazzati cinesi e quasi il 20% di tutti i veicoli militari in Africa sono importati dalla Cina. La nuova analisi di Jane’s, azienda nota per le sue pubblicazioni sulle armi globali, include Tanzania, Nigeria, Sudan, Camerun, Zimbabwe, Zambia, Gabon, Algeria, Namibia, Ghana ed Etiopia nel gruppo dei principali importatori di equipaggiamento blindato cinese.

Tra il 2010 e il 2021, la Cina ha rappresentato il 22% dei 9,32 miliardi di dollari di esportazioni totali di armi verso i paesi della SSA a sud del Sahara. Con 2,04 miliardi di dollari, le vendite cinesi sono state seconde solo alla Russia e quasi tre volte maggiori rispetto all’importo esportato nella regione dagli Stati Uniti, secondo i dati compilati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI).

La presenza del Gruppo Wagner e le armi cinesi

Le esportazioni di armi russe hanno rappresentato il 24% del totale, pari a 2,24 miliardi di dollari, mentre le vendite statunitensi nel decennio in questione sono arrivate solo al 5%, con 473 milioni di dollari.

Tutto ciò non può non preoccupare Washington, e per un motivo molto semplice. Se non sono fin qui emerse prove evidenti relative alla vendita di armi cinesi alla Russia, che Mosca potrebbe poi usare in Ucraina, non è da escludere che nel mosaico africano le suddette armi cinesi possano finire nelle mani della Wagner mediante le corrotte amministrazioni locali, per poi finire nei campi di battaglia ucraini.

Nel frattempo, si sono intensificate le visite diplomatiche nel continente africano. Lo scorso gennaio gli Stati Uniti hanno inviato in Africa il segretario al Tesoro Janet Yellen e l’ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield, rinnovando la loro attenzione sul continente per contrastare la crescente influenza cinese e russa. Dal canto suo, Mosca ha inviato tre volte in loco il ministro degli Esteri Sergey Lavrov da quando è scoppiata la guerra. La Cina, infine, ha risposto facendo visitare al neo ministro degli Esteri Qin Gang, nella sua prima trasferta all’estero, cinque paesi africani: Etiopia, Angola, Gabon, Benin ed Egitto.

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