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Cosa nasconde la corsa agli aiuti alla Turchia dopo il terremoto

Piove sul bagnato a Gaziantep, Iskenderun, Afrin, Aleppo: nomi di città che, dal passato, giungono fino alla cronaca contemporanea. Fino a quella di questa notte, nella quale quello che ormai è stato bollato come “Il più grande disastro dal 1939” ha colto a tradimento turchi e siriani nel gelo della notte. Il bilancio del terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito la notte scorsa il sud della Turchia e il nord della Siria è salito ad almeno 1.358 morti: è quanto emerge dai conteggi nei due Paesi. Finora in Turchia si registrano almeno 912 vittime mentre in Siria un totale di almeno 446 tra zone controllate dal governo (326) e aree controllate dai ribelli (oltre 120).

La ONG di protezione civile siriana White Helmets (Caschi Bianchi) ha dichiarato lo stato di emergenza nel nord-est del Paese e ha lanciato un appello alle organizzazioni umanitarie internazionali affinché intervengano con aiuti in tempi rapidi. Il sisma è avvenuto alle 4:17 del mattino (le 2:17 ora italiana) e ha avuto il suo epicentro nei pressi di Gaziantep, città del sud est della Turchia a una cinquantina di chilometri dal confine siriano. Centinaia gli edifici distrutti dal sisma: oltre alle abitazioni, è quasi completamente crollata la Chiesa dell’Annunciazione di Iskenderun, cattedrale cattolica risalente al 19esimo secolo. Ridotto a un cumulo di macerie il castello di Gaziantep, struttura di epoca romana costruita nel terzo secolo. Le operazioni di soccorso continuano, si stima che moltissime persone siano ancora sotto le macerie e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan viene costantemente informato sulla situazione. Immediatamente si è attivata la macchina internazionale degli aiuti dai quattro angoli del Pianeta.

La mano tesa di Usa…

Al nettò però del sacrosanto afflato umanitario, non si può negare che questo sia uno stress test non solo per la macchina turca ma per il legami che Ankara ha costruito e ri-costruito, soprattutto nell’ultimo anno. In primis quello con gli Stati Uniti, messo a dura prova dall’atteggiamento di Erdogan in ambito NATO, a partire dalla vicenda degli S-400 sino al diktat sui Paesi scandinavi. “Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per le notizie del terribile terremoto di oggi in Turchia e in Siria. Siamo pronti a fornire tutta l’assistenza necessaria.

Il Presidente Joe Biden ha incaricato l’USAID di valutare le opzioni di risposta degli Stati Uniti per aiutare le persone più colpite. Continueremo a monitorare da vicino la situazione in coordinamento con il governo della Turchia”. Così ha dichiarato la Casa Bianca in un comunicato. L’obiettivo è senza dubbio quello di rabbonire la pecora nera dell’Alleanza Atlantica intestandosi degli eventuali “pagherò”. Proprio nelle ultime ore, infatti, gli Stati Uniti avevano redarguito la Turchia sull’esportazione in Russia di prodotti chimici, microchip e altri prodotti che possono essere utilizzati nello sforzo bellico di Mosca in Ucraina, minacciando di agire per punire le aziende o le banche turche che contravvengono alle sanzioni. Proprio giovedì scorso, poi, ì Brian Nelson, il principale funzionario del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per le sanzioni, ha visitato i funzionari del governo turco e del settore privato per sollecitare una maggiore cooperazione nell’interruzione del flusso di tali merci. In un discorso ai banchieri, Nelson ha affermato che un marcato aumento delle esportazioni verso la Russia, che dura da un anno, lascia le entità turche “particolarmente vulnerabili ai rischi di reputazione e sanzioni” o di perdere addirittura l’accesso ai mercati del G7. Ma con la tragedia in corso, sarà difficile mantenere questa postura, al momento.

…e Russia

Nella corsa alla solidarietà non è mancata la voce russa. Mosca non può farsi sfuggire due occasioni importanti: ripulire parzialmente la propria immagine con la macchina degli aiuti e “ricordare” allo stesso tempo a Erdogan di questa mano tesa, quando sarà il momento di fare i conti, veri, sul dopoguerra in ucraina. Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che Mosca è pronta a fornire tutta l’assistenza necessaria ad Ankara in seguito al potente terremoto che ha causato numerose vittime. Il Cremlino, come riporta Tass, ha citato il telegramma di condoglianze di Putin al leader turco : “Siamo pronti a fornire l’assistenza necessaria in seguito al terremoto”. Ma la Russia non dimentica nemmeno il popolo siriano colpito duramente dal terremoto di questa notte: è quanto si legge nel messaggio inviato dal presidente russo Putin al suo collega siriano Bashar al Assad, secondo una trascrizione dell’agenzia governativa siriana Sana. Il presidente russo ha poi avuto una conversazione telefonica con Assad, che ha accettato l’offerta di aiuto per far fronte al terremoto che ha colpito la Siria. Squadre di soccorritori russi partiranno quindi nelle prossime ore alla volta del Paese mediorientale. Lo fa sapere il servizio stampa del Cremlino. Entro oggi Putin ha in programma una telefonata anche con il presidente turco per offrire aiuti ad Ankara.

L’Ucraina e l’Europa

Fa quasi sorridere, se non si trattasse di una tragedia, l’intervento ucraino nella vicenda. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso su Twitter le sue condoglianze alle vittime del terremoto cha ha colpito nella notta il sud della Turchia ed ha offerto assistenza. “Siamo al fianco del popolo turco in questo momento difficile. Siamo pronti a fornire l’assistenza necessaria per superare le conseguenze del disastro”, ha affermato Zelensky in un tweet. Come l’Ucraina martoriata possa offrire assistenza al gigante turco appare un mistero: ma esserci, stamane, conta più che fare. I telegrammi, le parole, il mettersi a disposizione sono tentativi di incidere un “non ti scordar di me” a tempo debito. Soprattutto con un leader come Erdogan che non ha mai smesso di telefonare a nessuno dei contendenti. Il gesto di Zelensky offusca quasi la mano tesa dell’Europa, imbarazzata dal suo rapporto con il nemico amatissimo di Ankara: “Un terremoto devastante ha scosso la Turchia e la Siria questa mattina, causando la morte di centinaia di persone e il ferimento di molte altre. I nostri pensieri sono rivolti alle popolazioni della Turchia e della Siria. L’Ue è pronta ad aiutare”: lo scrive in un tweet l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Josep Borrell.

Si tratta di un consueto e umano refrain da tragedia, o questo rinnovato ponte verso il Bosforo tradisce una piaggeria geopolitica tutta nuova? Dopo la linea dura verso Ankara, causa tempeste nella NATO e in patria, il consesso internazionale sembra vagamente docile con il sultano, al di là della tragedia in corso. Una mansuetudine che poco a che fare con le vite perdute ma che segna una vittoria politica: Erdogan è l’uomo che tutti devono tener buono. La Russia, per mediare con l’Occidente; Zelensky, per presentare ancora le sue ragioni nella mediazione eventuale; la NATO per non perdere il secolare cuscinetto. Perfino l’Europa, costretta a subirne la schizofrenia mentre è ancora una, nessuna e centomila.

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