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Contrastare Teheran: il senso della missione Usa in Iraq

Gli Usa lavorano allo scoperto per spezzare le mire di controllo iraniane a ovest del confine. Due iniziative significative intraprese nel giro di pochi giorni evidenziano la rinnovata vicinanza degli Stati Uniti a Baghdad e dimostrano il supporto al governo di al-Sudani contro il giogo di Teheran. La duplice strategia americana punta a cementare il ruolo dell’Iraq come avamposto in Medio Oriente.  

La revoca delle autorizzazioni, 20 anni dopo

Il primo passo è stato mosso all’inizio di questa settimana: il 6 marzo un gruppo di senatori democratici e repubblicani ha presentato una mozione per revocare le due Authorizations for Use of Military Force in base alle quali gli Stati Uniti sono ancora formalmente in guerra contro l’Iraq. La prima di queste autorizzazioni è stata siglata dal Congresso all’indomani dell’11 settembre per accordare al Presidente la possibilità di usare “tutte le misure necessarie e la forza appropriata” contro organizzazioni o persone ritenute complici negli attacchi terroristici alle Torri Gemelle, inclusi gli stati che hanno dato loro rifugio. Di fatto, questo provvedimento dava mano libera all’allora presidente Bush per implementare la War on Terror contro i nemici degli Stati Uniti in tutto il mondo, liberandolo dall’obbligo di interpellare il Congresso prima di intervenire sul campo. Con la seconda autorizzazione dell’ottobre 2002 (ricordata anche come “Iraq Resolution“), il Congresso americano approvava lo schieramento dell’esercito contro il regime di Saddam Hussein nell’ambito dell’operazione Iraqi Freedom, dando luce verde per l’invasione del marzo successivo.

La guerra si è conclusa (solo ufficialmente) nel 2011, ma le autorizzazioni non sono mai state abolite perché, secondo diversi senatori, farlo avrebbe significato mettere a rischio la sicurezza nazionale all’estero. Nel frattempo però quelle norme sono state adoperate per scopi diversi da quelli per cui erano state redatte e approvate: nel 2014, il presidente Barack Obama le ha usate per giustificare le incursioni aeree contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria. Sei anni dopo, il presidente Donald Trump ha addotto la stessa norma per autorizzare l’attacco coi droni che ha eliminato il generale iraniano Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds, e il suo vice all’aeroporto di Baghdad.

Il ventennale della guerra in Iraq ha offerto l’occasione di tornare a parlare di queste autorizzazioni. Negli anni sono già stati fatti altri tentativi di revoca, con membri del Congresso che richiamavano l’organo a farsi carico delle proprie responsabilità istituzionali e altri che si opponevano in nome della sicurezza delle truppe di stanza lì (ad oggi, 2500 effettivi). Questa settimana il leader della maggioranza del senato americano, Chuck Schumer, ha affermato che finalmente “repubblicani e democratici sono giunti alle stesse conclusioni, ovvero che bisogna lasciarsi la guerra in Iraq alle spalle una volta per tutte”. I senatori ritengono che agli occhi dell’Iran, revocare ufficialmente le autorizzazioni di guerra di era baathista metterebbe in chiaro il fatto che l’Iraq odierno rappresenta un partner per gli Stati Uniti, e darebbe un motivo di risentimento in meno all’ayatollah Khamenei.

As we near the 20th anniversary of the Iraq War, and reaffirm our partnership with Iraq to promote stability in the region, it’s time to repeal war authorizations against our strategic partner. https://t.co/3Y3nf8V11M

— Tim Kaine (@timkaine) March 7, 2023

La visita inaspettata di Austin

Martedì 7 il secondo passo: il segretario della difesa americano Lloyd Austin è atterrato a Baghdad per una visita inaspettata. Ha incontrato il premier iracheno Mohammad Shia al-Sudani e poi il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Nechervan Idris Barzani, per riconfermare l’impegno di Washington a mantenere la presenza militare nel Paese “su invito del governo dell’Iraq” – ha detto in conferenza stampa. “Gli Stati Uniti continueranno a rafforzare e ampliare la partnership in supporto della sicurezza, della stabilità e della sovranità dell’Iraq” ha continuato, e al-Sudani ha corrisposto ribadendo l’impegno di Baghdad nel “mantenere relazioni bilanciate con potenze regionali e internazionali”.

Wheels down in Baghdad. I’m here to reaffirm the U.S.-Iraq strategic partnership as we move toward a more secure, stable, and sovereign Iraq. pic.twitter.com/hJVJjefuyv

— Secretary of Defense Lloyd J. Austin III (@SecDef) March 7, 2023

Da quando la coalizione internazionale a guida americana ha rovesciato il regime autoritario di Saddam Hussein che affidava il dominio del paese alla minoranza araba sunnita, l’Iraq è stato guidato da governi a maggioranza sciita che hanno istituzionalizzato un sistema di potere confessionale – anche grazie all’impostazione dell’Autorità Provvisoria di Coalizione di Paul Bremer. Gli stessi hanno istituzionalizzato corpi militari sciiti (Popular Mobilization Forces, PMUs) addestrati, finanziati e indirettamente rispondenti a Teheran. In particolare gli esecutivi guidati da Nouri al-Maliki, Haydar al-Abadi e Adil Abdul-Mahdi hanno forgiato stretti legami con il vicino Iran a guida sciita, gestendo funamboliche relazioni con Washington e Teheran allo stesso tempo. Entrambi quest’ultimi hanno fornito supporto estensivo durante l’offensiva irachena contro gli estremisti sunniti dello Stato Islamico.

La tappa di Austin può anche rappresentare una risposta alle recenti dichiarazioni del generale maggiore Hossein Salami, comandante delle guardie della rivoluzione islamica iraniane, che a sua volta a fine febbraio aveva proposto al corrispettivo iracheno assistenza militare, scambio di esperienze nella lotta al terrorismo e addestramento per le forze armate irachene, sottolineando l’importanza di un vicino “stabile, sicuro e forte” per l’Iran.

L’equilibrismo dei governi iracheni ha finora favorito sviluppi positivi in termini economici per il Paese, che comincia solo ora a vedere un’orizzonte di stabilità e crescita dopo 20 anni di conflitto, ma meno in termini di sicurezza. Ne sono esempi lampanti i continui attacchi iraniani a basi della coalizione internazionale in territorio iracheno, o l’interminabile disputa con il Kurdistan per la protezione di ribelli iraniani e per il presunto appoggio fornito alle operazioni israeliane in Iran. Al-Sudani sa di essere posizionato tra due fuochi e di non poter sostenere questa posizione sul lungo periodo, e gli Stati Uniti sembrano consapevoli di non poter perdere la partita irachena a favore dell’Iran.

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