La banca californiana verrà rilevata dalla First Citizens, in ballo ci sono 72 miliardi di asset. Ma il Congresso vuole andare fino in fondo, ascoltando gli ex manager. Intanto il numero uno della Saudi Bank, primo azionista del Credit Suisse fa mea culpa e getta la spugna. Mentre Deutsche Bank risorge in Borsa
A qualcuno potrebbe sembrare il classico cavaliere bianco. E, a guardare bene, lo è. Per la Silicon Valley bank, l’istituto di credito californiano collassato sotto i colpi delle strette monetarie decise dalla Federal Reserve (il portafoglio della banca, poco diversificato e molto esposto al costo del denaro, si è improvvisamente deprezzato, scatenando il panico), sta per iniziare una nuova era. E, magari, tornerà un po’ di tranquillità sui mercati statunitensi e dunque mondiali (qui l’intervista all’economista e docente, Michele Bagella).
LE CENERI DI SVB
Mentre l’Europa fa ancora in conti con le conseguenze dell’accordo tra Ubs e Credit Suisse (deal da tre miliardi, ma con 9 miliardi di soldi pubblici messi a garanzia per le potenziali perdite della stessa Ubs), dagli Stati Uniti è arriva in nottata una notizia che potrebbe rassicurare l’intero comparto bancario. E cioè, come annunciato lunedì mattina dalla Federal Deposit Insurance Corporation (l’Agenzia indipendente da governo e Federal Reserve, che gestisce fondi del bilancio federale), la First Citizens Bank&Trust acquisterà i depositi e i prestiti della Silicon Valley Bank, la prima banca americana a dichiarare bancarotta dai tempi di Lehman Brothers e Washington Trust nel 2008.
L’accordo prevede l’acquisto di 72 miliardi di dollari di asset della Svb (con uno sconto di 16,5 miliardi), mentre circa 90 miliardi di titoli e altri asset rimarranno sotto il controllo della Fdic. Non è tutto. La medesima autorità statunitense ha ricevuto diritti di rivalutazione delle azioni ordinarie di First Citizens per un valore potenziale fino a 500 milioni di dollari, senza considerare che le 17 ex filiali della Silicon Valley apriranno come First-Citizens Bank & Trust Company a partire da lunedì 27 marzo. Tutto risolto, finito?
Forse. Perché sul fallimento di Svb, costato su per giù 20 miliardi di dollari, il Congresso degli Stati Uniti vuole fare piena luce. Per martedì 28 marzo è convocata presso la commissione banche, l’audizione dei manager che hanno gestito la banca finora. E si vedrà, dunque, cosa verrà fuori.
TEMPO DI DIMISSIONI
Lasciando gli Usa e approdando in Svizzera, ecco un altro colpo di scena. Stavolta la vista è direttamente sul Golfo persico. In Saudi National Bank, con una successione tutta interna che evidentemente mira a voltare subito pagina dopo quanto accaduto, Ammar Al Khudairy, il presidente della Saudi National Bank, le cui dichiarazioni hanno recentemente contribuito a far crollare le azioni di Credit Suisse (di cui la banca araba è primo azionista con il 9,9%), ha rassegnato le dimissioni. Sarà sostituito dal ceo Saeed Mohammed Al Ghamdi.
Il pregresso è drammaticamente noto: in un’intervista all’inizio di questo mese, lo stesso Al Khudairy aveva dichiarato che la Saudi National Bank non sarebbe stata aperta a ulteriori investimenti nel Credit Suisse se ci fosse stata un’altra richiesta di liquidità aggiuntiva. Il che ha scatenato il panico in Borsa, portando l’istituto di Zurigo (il secondo in Svizzera) a perdere in un solo giorno il 60% del valore. Senza considerare che gli azionisti di Credit Suisse hanno visto ridursi notevolmente il valore del loro investimento e nella fusione carta contro carta con Ubs riceveranno ancora meno.
Il 10 marzo, prima del tracollo, un’azione Credit Suisse valeva 2,50 franchi svizzeri, mentre venerdì scorso, 24 marzo, le azioni dell’istituto svizzero non valevano che 0,76 franchi svizzeri. Il che equivale a dire che il controvalore della quota in mano a Saudi National Bank nella banca elvetica si è ridotto a meno di un terzo in due settimane. Mentre 7,34 franchi svizzeri era stata la quotazione massima del titolo Credit Suisse nelle ultime 52 settimane: ovvero dieci volte di più di quanto vale oggi.
QUI FRANCOFORTE
Non è finita, perché manca un tassello per completare il quadro: Deutsche Bank. Dopo il giovedì horror (la prima banca tedesca è arrivata a perdere il 15% in Borsa, a causa di un rimborso anticipato di un bond, mal digerito dal mercato e dai risparmiatori), oggi il titolo dell’istituto è tornato a respirare. Deutsche Bank, nelle prime fasi di contrattazione è salita del 5%, trascinando al rialzo tutti gli indici. Francoforte (+1%), Parigi dell’1,1%.