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Armi nucleari in Bielorussia. Putin sfida l'Occidente (ma anche Xi)

L’annuncio del presidente russo Vladimir Putin sul dispiegamento di armi nucleari tattiche in Bielorussia agita la diplomazia internazionale. Subito dopo le dichiarazione del capo del Cremlino, l’Occidente in blocco ha condannato la mossa di Mosca ritenendola l’ennesima dimostrazione del rischio di una escalation nucleare. L’Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, ha paventato nuove sanzioni da parte di Bruxelles, ricordando come l’atto di Putin, se confermato, sarebbe considerato “un’escalation irresponsabile e una minaccia alla sicurezza europea”. La Nato, sulla stessa linea, ha denunciato la “pericolosa e irresponsabile” retorica di Mosca. La Germania ha parlato di un tentativo di intimidazione da parte di Putin: un concetto espresso poi dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, e da altri esponenti della politica europei.

“Nessuna indicazione sull’uso dell’atomica”

La Casa Bianca, saputo della scelta di Putin, ha confermato di monitorare con molta attenzione a quanto accade tra Mosca e Minsk. Mentre il Pentagono, a domanda di InsideOver sul rischio di armi nucleari in territorio bielorusso, ha risposto che al momento non c’è “alcun motivo” per modificare la politica nucleare Usa “né alcuna indicazione che la Russia si stia preparando a utilizzare un’arma nucleare”.

Peskov: “L’Occidente non influenzerà i piani russi”

Dopo le reazioni europee, a parlare di nuovo delle atomiche tattiche in Bielorussia è stato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, il quale ha assicurato che “la reazione dell’Occidente non influenzerà i piani per il dispiegamento di armi nucleari tattiche in Bielorussia”, sottolineando come non vi sia nulla da aggiungere a quanto spiegato da Putin nell’intervista di sabato.

La minaccia di Patrushev

A rincarare la dose, il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev, che intervistato dal quotidiano Rossiiskaya Gazeta, ha puntato il dito contro “i politici americani intrappolati dalla loro stessa propaganda” che a suo dire “hanno fiducia che, in caso di conflitto diretto con la Russia, gli Stati Uniti siano in grado di lanciare un attacco missilistico preventivo, dopo il quale la Russia non sarà più in grado di rispondere. Questa stupidità è miope e molto pericolosa”. Patrushev, come riportato da Adnkronos, ha poi lanciato un nuovo avvertimento: “La Russia è paziente e non intimidisce nessuno. Ma dispone di moderne armi uniche in grado di distruggere qualsiasi nemico, compresi gli Stati Uniti, in caso di minaccia alla sua esistenza”.

Le tempistiche di Putin dopo il viaggio di Xi

La notizia di questo spostamento di testate, che potrebbe avvenire a luglio dopo la costruzione di un deposito ad hoc in una Bielorussia considerata ormai un protettorato di Mosca, ha provocato anche la reazione della Cina. Dopo la visita del presidente Xi Jinping nella capitale russa e gli incontri più che cordiali e pomposi avuti con Putin, il governo cinese aveva auspicato una forma di controllo della tensione, suggerendo che il capo del Cremlino fosse interessato a un piano di pace basato anche sulla proposta asiatica dei 12 punti.

Tra questi punti, ma soprattutto nei discorsi che sono giunti da Pechino in tutto il corso della guerra, c’è però il continuo avvertimento sull’uso dell’arsenale nucleare. Un tema che è centrale nella narrazione di Xi sul conflitto e che con l’annuncio di Putin sembra avere subito una brusca frenata. Come ribadito dagli esperti e come confermato anche da Washington, la mossa di Putin non è affatto prodromica all’uso di queste testate.

Mosca complica i 12 punti cinesi

Tuttavia, il messaggio lanciato da Mosca è che l’arma nucleare sia ancora considerata un elemento negoziale e uno strumento di minaccia. Nella dichiarazione congiunta firmata da Xi e dal presidente russo dopo il vertice di Mosca, è indicato in modo cristallino che “i Paesi con armi nucleari devono abbandonare la mentalità da Guerra fredda e del gioco a somma zero, ridurre il ruolo delle armi nucleari nelle loro politiche nazionali di sicurezza, ritirare le armi nucleari dispiegate all’estero, eliminare lo sviluppo senza restrizioni di una difesa globale con missili balistici, e adottare passi efficaci per ridurre il rischio di conflitti nucleari fra Paesi con capacità nucleari”.

Le dichiarazioni di sabato da parte del capo del Cremlino stridono non poco con quanto sottoscritto dallo stesso leader con il suo omologo e fondamentale partner cinese. Anche la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha ricordato che “tutte le parti dovrebbero concentrarsi sugli sforzi diplomatici per risolvere pacificamente la crisi ucraina e promuovere di concerto l’allentamento delle tensioni”.

Una mossa anche di propaganda

La mossa di Putin può quindi essere letta in una duplice chiave. Le armi in Bielorussa, giustificate da Putin come reazione alle armi all’uranio impoverito inviate all’Ucraina dal Regno Unito, sono un modo per dimostrare all’Occidente di essere in grado di rispondere (anche in modo sproporzionato) a qualsiasi mossa.

Allo stesso tempo, la scelta dello Zar va anche vista nell’ottica del complesso rapporto con la Cina, da molti osservatori ormai ritenuta come “dominus” di quella “partnership senza limiti” varata da Putin e Xi prima del conflitto e confermata nel vertice moscovita. Un tentativo di Putin di divincolarsi, almeno pubblicamente e nell’immagine, da una Pechino vista come eccessivamente decisiva per un leader che non può mostrarsi subalterno a quanto suggerito dall’”amico” del gigante asiatico.

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