Racconti bretoni: il fallimento del laboratorio macronista
La sorpresa delle ultime elezioni e dell’evoluzione dello scenario francese è stata la Bretagna. Se prima si poteva designare come laboratorio del macronismo, adesso possiamo confermare che questo ha fallito. Partendo da Rennes e arrivando nella Bretagna più profonda vediamo che qualcosa è cambiato e che la percezione di una République en marche forte non fa più parte della coscienza bretone.
Rennes è passata da avere una maggioranza macroniana a una insoumise (della France Insoumise, partito di Mélenchon). Quasi ogni circoscrizione della città è stata vinta dalla coalizione di sinistra. Alcuni dei nomi più importanti legati a Macron e al suo partito sono stati sconfitti. Basti pensare a Florian Bachelier, primo questore dell’Assemblea nazionale e membro di spicco del Rem, adesso sostituito dall’insoumis Mickael Bouloux. O alla deputata Laurence Maillart-Méhaignerie sempre di Rem, accusata di aver sfruttato una mole allucinante di assistenti e di essere stata con loro “esigente fino all’eccesso, a volte brutale nei suoi metodi”, sconfitta da un altro insoumis, Tristan Lahais. Andando più a ovest, inoltrandosi nelle zone più rurali della Bretagna notiamo lo stesso processo. Qui nel 2017 Macron aveva sbancato. Al tempo gli era stata affidata enorme fiducia riuscendo a vincere attraverso i suoi candidati ventiquattro circoscrizioni su ventisette. I candidati erano stati bravi a promettere di riunire i socialdemocratici a una destra moderata. Adesso però l’euforia del 2017 è decisamente cambiata spostandosi verso nuovi candidati freschi di nuova coalizione. La Nupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale) è riuscita a conquistare gran parte del territorio spazzando via i pesi massimi della macronie bretone. Parliamo infatti di Allain, ex vicepresidente della regione Bretagna che ha consigliato Emmanuel Macron sulle questioni agricole nel 2017, e Marc Coatanéa, candidato senza successo (Lrm) a sindaco di Brest nel 2020, fatti fuori già al primo turno.
Cosa ha fatto Macron di così sbagliato in Bretagna per vedere molti dei suoi candidati e fidati non venire rieletti? Perché i bretoni gli hanno voltato le spalle? Cosa è successo in questi cinque anni?
Già a Rennes, capoluogo della regione, è facile trovare chi storce la bocca quando sente nominare Macron. Certo, come in tutte le grandi città, pure a Rennes i risultati non sono stati uniformi in tutti i quartieri. Alcuni sono rimasti fedeli alla République en marche e altri sono passati alla Nupes. Le ragioni di questa discrepanza in seno ai quartieri sono simili a quelle di Parigi e a quelle del resto delle grandi città francesi, che riguardano soprattutto la disuguaglianza sociale. Alla fine dei conti, però, l’ondata Nupes ha travolto la città in risposta a un Macron, a detta loro, arrogante e disinteressato.
“Sarà meglio che Macron non venga a Rennes, non ci piace. Finirebbe male”, dice Philippe, 47 anni, incontrato in piazza Sainte-Anne mentre fa pausa pranzo coi suoi due colleghi Yannick e Nicholas. “Macron è amico della finanza, aiuta tutti i suoi amici che non sono certamente i nostri. Noi siamo per il popolo”. I cinque anni di legislazione sono stati a detta loro esplicativi di quello che incarna Macron: l’élite. “Non ci è piaciuto niente di tutto quello che ha fatto in questi cinque anni. Non accetterò mai quello che ha fatto ai gilet gialli”, prosegue Philippe, “come li ha trattati. All’inizio una larga maggioranza sosteneva i gilet gialli, era il popolo che si esprimeva e non facevano niente di male. Esprimevano tutto il loro disagio per il potere di acquisto che diventava sempre più debole. Non abbiamo fiducia in lui”.
Rennes non è Parigi. È una città universitaria, giovane e dinamica ma non ha le stesse opportunità della capitale. Qua i giovani, e non solo, faticano a trovare un impiego che arrivi agli standard parigini e che possa sopperire a un costo della vita che sale a una velocità impressionante. Lucie, giovane lavoratrice di Rennes, infatti rimprovera Macron di “non aver fatto abbastanza per i giovani. Non possiamo vivere decentemente. Il nostro potere d’acquisto è pessimo e diminuisce sempre di più”. Secondo un agricoltore di Rennes il presidente ha gestito il Paese come si gestisce una grande azienda, “ai servigi del libero mercato”. Stessa cosa per Dominique, produttore di fois gras che taglia corto dicendo che “Macron non ha fatto nulla per noi e per la Bretagna”.
È un sentimento palpabile quello della delusione in Bretagna. Lo si legge negli occhi di chi racconta questi cinque anni e i (non) risultati di oggi. Inoltrandosi nella regione del Finistère, una piccola cittadina ha cambiato bandiera rispedendo a casa Richard Ferrand, presidente dell’Assemblea Nazionale dal 12 settembre 2018 e braccio destro di Macron. È stata proprio la sua mancata rielezione a far crollare le fondamenta della Rem e a far capire a Macron che il gioco da qui in avanti deve essere ridefinito. È a Carhaix-Plouguer, piccola cittadina di 8 mila anime, che si è giocata una delle partite più importanti. Ferrand, che la vive, non è stato riconfermato e ha visto la socialista Mélanie Thomin scavalcarlo. In questo paesino, che si è apertamente dichiarato omertoso riguardo alla politica, ciò che è percepibile in prima battuta è l’astio nei confronti di Richard Ferrand. Un uomo che fa della Finistère, e più in generale della Bretagna, il suo fortino ma che in passato ha definito i suoi abitanti come degli “illitrés”, degli analfabeti. Popolo fiero quello bretone che non si è lasciato sfuggire questo dettaglio e che si è vendicato alle urne. “Io non l’ho mai visto in negozio da me”, dice il macellaio della città insieme a sua moglie, “eppure ha la casa a 3 chilometri dal centro. È venuto solo qualche volta per stringere le mani in paese prima delle elezioni. Poi, chi l’ha più visto”.
“Io non ho votato ma sono contento che abbia perso Ferrand!”, esordisce Maxime incontrato in un bar a Carhaix-Plouguer. “Non lo vediamo mai qua. Praticamente non lo conosciamo e per noi non ha fatto niente. Vedremo l’operato di Mélanie Thomin adesso, ma almeno lei si è fatta vedere”. Il sentimento di abbandono e di rabbia nei confronti di Richard Ferrand è qualcosa che si riscontra in ogni persona del paese. Questo uomo passato dal partito socialista a Rem in un batter d’occhio e diventato la pupilla di Macron, ha tirato su un muro contro coloro che gli hanno dato una voce, sentenziando definitivamente la sua rovina. “Ferrand doveva essere a Parigi a rappresentarci, ma sono vent’anni che in realtà ci sentiamo abbandonati. Qui la situazione è particolare, noi siamo particolari. Il fatto che dal primo giorno del suo mandato non l’abbiamo più visto non ci è piaciuto affatto”, ha continuato Maxime sorseggiando la sua birra pomeridiana.
In questa terra agli estremi della Francia, storicamente socialista, storicamente sovversiva nei confronti di Parigi, nel 2017 Macron era riuscito a convincere che poteva essere lui il cambiamento, che poteva essere lui il presidente del popolo. Adesso di tutto ciò che era stato promesso e idealizzato, è rimasto il niente, solamente un grande senso di rivalsa arrivato con la vittoria di Mélanie Thomin. La regione della Finistère si è riappropriata del suo heritage socialista e si lascia indietro un presidente che non è stato abbastanza e il suo braccio destro che probabilmente ha peccato di superbia e arroganza contro un popolo che a quel gioco non c’è stato.
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