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Biden sotto accusa: trascura l’America. Trump a East Palestine – Jacopo Rossi Lucattini

Il disastro ferroviario avvenuto a East Palestine ha generato grandi polemiche sulla gestione degli affari interni da parte del presidente Joe Biden, e infiammato lo scontro politico, evidenziando le differenze tra Democratici e Repubblicani, ma anche all’interno del Gop.

In questi giorni, il presidente Biden compare più spesso del solito sulle prime pagine dei giornali europei, grazie alla sua storica visita a Kiev. Si è trattato effettivamente di un evento storico, e di una dimostrazione inequivocabile della volontà americana di continuare a fornire tutto l’appoggio necessario al governo ucraino per continuare a far fronte alla guerra scatenata ormai un anno fa da Vladimir Putin.

Chi è solito leggere Atlantico Quotidiano sa bene come su questo punto Biden non riscuota da parte nostra altro che approvazione, però è necessario raccontare anche un altro aspetto della vicenda, che rischierebbe di passare pericolosamente sotto traccia quaggiù nel Vecchio Continente.

Biden contestato

In effetti, l’attuale inquilino della Casa Bianca è in queste stesse ore al centro di una copertura mediatica non solo paragonabile a questa, ma in effetti maggiore, e complessivamente molto negativa, sull’altra sponda dell’Atlantico.

La polemica che sta montando con toni sempre più accesi da parte dell’opposizione repubblicana, ma anche di alcune figure all’interno del mondo Dem, deriva da quelle che sono percepite come gravi mancanze nella gestione delle conseguenze dell’incidente ferroviario avvenuto poco più di due settimane fa nell’Ohio orientale.

Per quanto i media italiani – e più in generale europei – abbiano accennato alla vicenda, essa non ha avuto una copertura particolarmente rilevante, e potrebbe facilmente essere intesa come uno dei tanti, piccoli casi di cronaca interna statunitense, non particolarmente degni di nota.

Conseguenze difficili da stimare

In realtà, si tratta di un incidente le cui proporzioni reali non sono ancora ben chiare neppure dal punto di vista scientifico, le cui cause non sono state chiarite dal punto di vista legale, e le cui conseguenze politiche possono diventare decisamente rilevanti.

È fin troppo facile, da un punto di vista europeo, tendere a sottovalutare pesantemente la politica interna quando si valuta l’operato e la popolarità di un’amministrazione statunitense, per una sorta di bias culturale comprensibile, dovuto agli storici difetti di rappresentazione della realtà americana, da sempre appiattita tanto nei nostri libri di testo quanto sui nostri giornali su dinamiche narrative di tipo prettamente europeo ed eurocentrico.

Cosa è successo a East Palestine

Ma vediamo prima di tutto di partire da una base fattuale, e di capire che cosa sia effettivamente successo a inizio febbraio in un minuscolo paesino sulle rive sabbiose di uno degli affluenti del grande Fiume Ohio, per poi passare ad analizzarne le conseguenze politiche.

Dunque, East Palestine è una località abitata da poche centinaia di persone, posta al confine orientale dell’Ohio con la Pennsylvania, e deve la propria importanza economica al fatto di essere sede di una stazione di carico e scarico merci della Norfolk Southern Railway, una delle principali compagnie di trasporto su rotaia dell’Est.

Proprio un treno merci di questa compagnia viaggiava nella serata del 3 febbraio su questa linea quando, alle ore 20:55, per motivi ancora non completamente determinati, ha deragliato, finendo per disseminare intorno alle rotaie 51 vagoni, 11 dei quali impiegati per il trasporto di sostanze tossiche altamente inquinanti, quali cloruro di vinile, residuati del benzene e acrilato di butile.

Quasi immediatamente si è sviluppato un incendio, che i soccorritori non sono riusciti a sedare nelle ore successive. Le autorità sia della Pennsylvania (il governatore Democratico Josh Shapiro) che dell’Ohio (il Repubblicano Mike DeWine) hanno ordinato l’evacuazione delle aree più prossime al luogo del disastro, operazione che he ha coinvolto migliaia di persone.

Nonostante cinque dei vagoni trasportanti la più pericolosa delle sostanze, il cloruro di vinile, fossero ancora integri dopo l’incidente, sembra che ci siano stati dei malfunzionamenti delle valvole di emergenza che avrebbero dovuto permettere l’estrazione del contenuto.

Così, di fronte all’incapacità di spegnere del tutto le fiamme, che si avvicinavano rapidamente ai vagoni in questione, si è preso atto della crescita esponenziale del rischio di esplosioni, tanto che le autorità hanno infine deciso di procedere ad una delicata operazione di fuoruscita e combustione controllata dei materiali.

Il 6 febbraio, i due governatori hanno ordinato la completa evacuazione di un’area di 3,2 km di raggio dal punto dell’incidente, e DeWine ha inviato la Guardia Nazionale per assistere le operazioni, definite dal “una questione di vita o di morte”.

Nei giorni successivi, diverse rivelazioni scientifiche condotte da alcune istituzioni universitarie dell’Ohio hanno rilevato una rapida diffusione di sostanze tossiche sia nell’aria che nell’acqua, con almeno 3.500 pesci rinvenuti morti in un tratto di appena 12 km di un affluente dell’Ohio.

Le prime reazioni

La rapida diffusione delle notizie riguardanti il disastro, molto più rapida della reazione delle autorità, che hanno mostrato anche problemi di coordinamento l’una con l’altra e di scarsa reattività nel fornire informazioni ufficiali alla popolazione, ha portato ad un proliferare di teorie del complotto, oltre che a un’ondata di indignazione nei due Stati e nel vicino Kentucky.

Chi è parso particolarmente distante e addirittura disinteressato è stata proprio Washington, la cui partecipazione alla vicenda, specie se paragonata al maggiore dinamismo delle amministrazioni locali, è stata effettivamente marginale, sia per ragioni strutturali intrinseche che per una preferenza verosimilmente accordata ad altri temi, molto importanti per la Casa Bianca in questo momento.

La conseguenza ovvia è stata la partenza immediata di una campagna di critiche molto dure, portata avanti principalmente dai profili repubblicani più vicini a Donald Trump, ma non solo.

L’indifferenza della Casa Bianca

Le polemiche si sono improvvisamente fatte maggiormente bipartisan proprio in occasione della visita di Biden a Kiev: l’impressione negativa, a detta di molti commentatori, è stata quella che il presidente si sia interessato e speso per una nazione straniera mentre tanti americani stanno affrontando quello che potenzialmente può essere uno dei peggiori disastri ambientali nella storia del Paese, in quella che così rischia di passare come quasi totale indifferenza dell’amministrazione, che si è limitata a dire che è “tutto a posto” e che “andrà tutto bene”.

Ora, se personalmente, da italiano ed europeo sono molto contento che Biden abbia compiuto questa storica visita in Ucraina, ribadendo che l’impegno americano in Europa non è in discussione, capisco che l’ipotetico “americano medio”, possa essere estremamente risentito, dal momento che tenderà a pensare che il presidente debba prima di tutto dare un minimo segno di conforto e di rassicurazione alla sua gente, e non lasciarla in balia del dubbio, della paura e del senso di impotenza.

Nonché facile preda di ogni teoria del complotto, aggiungerei, come quelle che già vengono rimbalzate da opinionisti di fama e con milioni di follower quali Liz Wheeler.

Gli attacchi dei trumpiani

Ma vediamo in presa diretta alcune di queste reazioni, cominciando dai primi, e più accesi attacchi, portati dai più importanti elementi del “fronte trumpiano” all’interno del Gop. Interessante leggerli in originale e commentarli brevemente, dato che possono fornirci uno scorcio decisamente illuminante su quelli che saranno i toni della prossima campagna elettorale, sia quella per le primarie repubblicane che, probabilmente, quella per la corsa alla Presidenza —che negli States è di fatto già partita, e si gioca molto sul fronte interno, come stiamo cercando di spiegare.

Dalle parole di uno dei primi a intervenire, il Congressman in rappresentanza della Florida Matt Gaetz, spicca in modo lampante come per il “blocco MAGA” la guerra in Ucraina sia diventata un errore sul quale attaccare i Dem:

Quando c’è una crisi sul nostro confine, Joe Biden se ne va a dormire a casa sua nel Delaware. Quando l’Ohio brucia, con sostanze chimiche tossiche che vengono rilasciate, l’amministrazione di Biden dice che va tutto bene. Quindi, non sono sorpreso che Biden, perfino nel giorno del Presidents’ Day, stia abbandonando l’America per l’Ucraina. Ha abbandonato gli interessi dell’America fin dall’inizio della sua presidenza. Possono tenerselo! [gli ucraini, ndr].

Ancora più pesante va la rappresentante al Congresso del 14° distretto della Georgia Marjorie Taylor Greene, tristemente famosa per posizioni apertamente filo-russe, e in passato anche per aver diffuso teorie del complotto antisemite:

Biden non è andato a East Palestine, Ohio, nel Presidents’ Day. È andato in Ucraina, una nazione non Nato, il cui leader è un attore che sembra che si sia messo a guidare le nostre forze armate verso una guerra mondiale. Procediamo a mettere sotto impeachment questo pazzo prima che sia troppo tardi e porti l’America alla distruzione.

Lo stile è quello ormai tipico degli elementi spesso definiti “avanguardia trumpiana”, che portano all’eccesso l’approccio di Trump stesso, e servono in un certo senso a un doppio scopo. Da il lato, infatti permettono a Trump stesso di porsi come “più moderato”, ossia portatore di critiche simili ma allo stesso tempo meno radicali, e soprattutto gli consentono di mantenere quel profilo basso, fatto di totale assenza (adesso meno forzosa) dai social mainstream e di presenza fisica a pochi eventi, selezionati e organizzati con grande attenzione.

Ad ogni modo, non può non fare specie vedere alti rappresentanti del Partito Repubblicano sostenere tesi che spesso paiono uscite da un manuale di propaganda russa, come dimostra anche un altro dei personaggi di spicco del nuovo corso del Gop, il figlio di Trump stesso, Donald Trump Jr, che ha usato su Twitter un linguaggio che lascia poco spazio all’immaginazione: “Naturalmente Joe Biden è in Ucraina e non in Ohio… Perché gli americani sono fottuti“.

Sullo stesso tono anche Bernard Kerik, ex commissario di polizia di New York, che ha ricevuto la grazia da Trump e adesso è uno dei suoi uomini di fiducia, che ha tirato in ballo la teoria dei legami del figlio di Biden, Hunter con l’Ucraina come motivo del supporto americano a Kiev: “Lui [Joe Biden, ndr] e Hunter hanno legami finanziari con l’Ucraina, mentre non hanno alcun legame con East Palestine, Ohio!”, ha twittato Kerik.

L’approccio di Ron DeSantis

Il grande interesse che questa vicenda riveste sta proprio nel fatto di mostrarci sia le diverse prospettive tra Repubblicani e Democratici che le due anime che si stanno disputando il controllo del Gop stesso. Un approccio molto diverso da quello dei trumpiani, pur nell’espressione di dure critiche all’operato di Biden, è infatti quello adottato dal governatore della Florida Ron DeSantis, per molti l’unico avversario con delle chance di battere Donald Trump per la nomination.

DeSantis si è imposto come alfiere dell’approccio libertario alla gestione del Covid, ma anche come volto nuovo del partito, allo stesso tempo più giovane e dinamico, e più tradizionale rispetto a Trump – ma non meno radicale in senso generale, anzi.

Durante il suo mandato da governatore della Florida, si è infatti distinto come uno strenuo difensore delle libertà, e come un accanito oppositore di ogni tendenza culturale e politica woke, tanto da scontrarsi apertamente anche con la Disney, che in Florida ha enormi interessi economici.

Ron DeSantis cerca di sposare un approccio che strizzi l’occhio alle posizioni libertarie con una decisa presa di posizione in difesa dei valori tradizionali della famiglia e della religione cristiana. In questo, sul piano sociale va probabilmente considerato come più radicale dei trumpiani, ma a differenza di questi ultimi si mostra palesemente restio ad abbracciare apertamente qualsiasi teoria del complotto, ed utilizza un linguaggio netto ma tendenzialmente molto più posato e all’interno dei limiti convenzionali.

Molto chiara anche la scelta del mezzo cui affidare il proprio pensiero: se i Repubblicani del gruppo MAGA hanno dato sfogo liberamente ai loro pensieri su Twitter, DeSantis è apparso sulla tv via cavo, con un intervento duro ma posato sulla trasmissione Fox & Friends.

Credo che sia io che molti americani pensiamo che [Biden] sia molto preoccupato per i confini di mezzo mondo. Però non sta facendo nulla per proteggere il nostro confine, qui a casa nostra. Ha fatto arrivare milioni e milioni di persone […] e poi ci sono le decine di migliaia di americani morti [riferimento al traffico di Fentanil, che ha fatto impennare il numero di morti per overdose negli Stati Uniti, ndr].

Unica alternativa al trumpismo

L’attacco portato al presidente Biden è molto chiaro, e i punti sono sostanzialmente gli stessi comuni a tutto il Partito Repubblicano: disinteresse per le questioni interne degli Stati Uniti e un eccessivo attaccamento alla politica estera.

Lo stile e l’atteggiamento sono però completamente differenti: mancano del tutto espressioni sopra le righe, boutade e provocazioni, mancano anche attacchi personali e riferimenti a vicende parzialmente screditate, come la Hunter Biden connection.

Questa vicenda ci offre quindi un’ottima occasione per vedere come DeSantis si stia ponendo di fatto come unica alternativa al trumpismo nel campo repubblicano, cercando di ottenere consensi con una sorta di re-istituzionalizzazione, con l’abbandono dei toni esasperati e dell’aggressività provocatoria, ma non certo in un ammorbidimento sui temi caldi, soprattutto a livello sociale.

Attenzione quindi a considerare in questo DeSantis come un “moderato” rispetto a Trump: lo è sicuramente nell’atteggiamento e nel modo di gestire la comunicazione, ma non nelle convinzioni e su questo punto si giocherà probabilmente la partita.

Dove sono i Dem?

Da parte dei Democratici c’è stata finora una certa lentezza, tanto nel rispondere quanto nel mostrare interesse per la vicenda – ed effettivamente il problema sta tutto qui. Ci sono state, certo, reazioni doverose di sostegno al presidente, ma hanno fatto mediaticamente più rumore le proteste di alcuni esponenti maggiormente legati alle realtà locali.

Un esempio è costituito dal deputato Scott Perry, della Pennsylvania, che ha dichiarato che “lascia senza fiato il fatto che il presidente Biden possa presentarsi in Ucraina per garantire la sicurezza del loro confine, ma non possa fare lo stesso per l’America“, usando parole di fatto non diverse da quelle dei Repubblicani.

Ancora più pesante è stata l’ex deputata Mayra Flores, che ha addirittura affermato che Biden sarebbe “il peggior presidente della storia degli Stati Uniti”, dato che avrebbe messo il Paese in secondo piano

Ciò che in effetti lascia perplessi è la remissività del Partito Democratico, che pure avrebbe delle buone carte da giocare in questa partita. Ad esempio, al momento i Repubblicani sono all’attacco anche nei confronti della Norfolk Southern, accusata a vario titolo di aver risparmiato sulla sicurezza.

Questo potrebbe essere un buon punto per assestare un gancio in risposta, dato che, come riportato dal Daily Mail e da tutta la stampa britannica, l’attuale ceo della NSR ha condotto in passato una pesante attività di lobbying per convincere l’allora presidente Trump ad abrogare una legge introdotta da Obama, che stabiliva standard molto rigidi per le compagnie ferroviarie, obbligandole a investire in sicurezza degli impianti frenanti dei treni, specialmente di quelli che trasportano sostanze pericolose.

Disinteresse per le zone dei Deplorables

Eppure, i Democratici sembrano essenzialmente essere poco interessati a questa vicenda, sembrano prenderla tendenzialmente sottogamba, come già accaduto in passato per eventi che coinvolgono aree del Paese che rivestono un ruolo nella loro visione poco determinante.

Già, dopo tutto sono pur sempre zone di white blue collar workers, terra di classe operaia bianca, in qualche modo date per perse dai Dem, abitate da quelli che Hillary Clinton ebbe a definire “miserabili”.

Ma voltare loro le spalle in modo eclatante potrebbe essere un errore dal prezzo molto alto, se si considera che il fenomeno Trump nasce esattamente come reazione, istintiva quanto si vuole, ma a maggior ragione ancora più forte, ad atteggiamenti di questo tipo, tipici della “sinistra bene” su entrambe le sponde dell’Atlantico.

E Donald Trump lo sa bene, come sa anche che sfruttare tale atteggiamento rappresenta per lui ancora la carta migliore da giocare sul fronte interno per provare a tornare alla Casa Bianca. E infatti lui ci è andato, a East Palestine, nella serata di mercoledì, in una più unica che rara apparizione in un evento di piccole dimensioni.

Ci è andato per mostrarsi in mezzo alla sua gente, in mezzo agli americani, per attaccare duramente Biden in un breve discorso, appena una decina di minuti, rivolto a un centinaio di persone del luogo. Le parole sono state quelle che i suoi uomini hanno ripetuto in questi giorni, intercalate dal suo frequente nuovo slogan “have a good time”.

Ma ciò che conta di più è l’immagine, dal valore simbolico: Biden insieme a un capo di Stato straniero, impegnato a portare supporto ad un’altra nazione con grande dispendio per gli Stati Uniti, Trump in mezzo ai cittadini americani di provincia colpiti da una grave tragedia, deciso a ribadire il concetto di America First.

Trump che può dichiarare di aver appena fatto una cospicua donazione a titolo personale in favore della popolazione di East Palestine e delle aree circostanti, mentre “Biden continua a regalare miliardi agli ucraini”. Biden che porta missili a Kiev mentre Trump porta acqua in bottiglia in Ohio. Biden che spende soldi all’estero, mentre ci sono americani, “grandi persone che hanno bisogno di aiuto, ora!” – sono le parole postate da Trump sul suo social Truth.

E poco importa quanto fondamentale possa essere il sostegno all’Ucraina nell’ottica del confronto geopolitico tra Stati Uniti e Cina, alla fine per l’americano medio conta ciò che è più vicino, ossia l’America stessa, e situazioni come quella in atto tra Ohio e Pennsylvania hanno un gran peso, a maggior ragione dal momento che si tratta di due swing States spesso determinanti nella corsa alla Casa Bianca.

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