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Attaccare Teheran per colpire Mosca. Così l'Occidente vendica l'Ucraina

La lunga guerra fredda tra Iran e Israele, che va avanti dal 1979 e terminerà soltanto con la sconfitta totale di uno dei contendenti, ha mietuto delle nuove vittime eccellenti tra la sera del 28 e la notte del 29 gennaio.

A Esfahan, centro nevralgico ma poroso dell’Iran centrale, una flottiglia di droni ha condotto degli attacchi contro degli obiettivi simbolici e strategici, tra i quali delle infrastrutture militari presumibilmente utilizzate per lo stoccaggio di droni e per lo sviluppo di missili ipersonici.

Un attacco che è eclatante nella misura in cui riconferma le fragilità del regime khomeinista e lancia un potente monito a tutte quelle forze che in Ucraina stanno sostenendo gli sforzi bellici della Russia. Le reazioni al blitz, di Mosca e Teheran, saranno uguali, contrarie e imprevedibili.

Seguire le briciole

Gli strateghi hanno una forma mentis simile a quella degli assassini seriali: sono alla ricerca della perfezione, che provano a raggiungere elaborando dei piani d’azione via via più sofistificati e meticolosi, ma narcisismo e sete di gratificazione inquinano la loro ambizione e li inducono a lasciarsi dietro delle tracce.

Tracce. A Esfahan, dove di tracce sulla scena del delitto ve ne sono parecchie, tutto conduce verso una sola direzione: Israele. Per il modus operandi – la negabilità plausibile. Per gli obiettivi colpiti – l’industria bellica per la produzione di sistemi d’arma avanzati. Per il diavolo nascosto tra i dettagli – l’indirizzo dell’edificio è strada Imam Khomeini. E tre indizi, Agatha Christie docet, fanno una prova.

A cavallo tra la sera del 28 e la notte del 29 gennaio, a Esfahan, sono stati condotti degli attacchi ad estrema precisione contro dei target parlanti, modellati secondo un formato familiare – popolarizzato da Israele tra 2020 e 2021 –, nelle possibilità soltanto di un pugno di attori – tra cui Central Intelligence Agency e Mossad –, che hanno servito due scopi: (ri)evidenziare le fragilità dell’Iran, un paese con gravi problemi di entrismo e di controllo del proprio territorio, e inviare un monito alla Russia.



Gli esperti concordano

Secondo l’esperto di spazio postsovietico Cesare Figari Barberis, al quale è stato chiesto un rapido commento sul blitz di Esfahan, “gli obiettivi colpiti fanno pensare a una ritorsione per la partecipazione indiretta dell’Iran, attraverso la vendita dei droni Shahed, alla guerra in Ucraina”.

Gli attacchi si sono contraddistinti per l’estrema precisione, tanto che, infrastrutture militari a parte, Figari Barberis racconta “di un caso in cui sarebbe stato ucciso un singolo individuo”. Uno sbugiardamento della versione ufficiale iraniana, che ha parlato di raid sventato e danni minimi.

“L’impressione è che siano stati gli israeliani”, prosegue l’esperto, “e gira qualche voce” di un attacco reso possibile colpendo “dall’Azerbaigian“. Perché alleato di ferro di Israele. E perché, forse, sollecitato dall’attentato di Teheran del 27 gennaio, “dove si vocifera l’implicazione dei servizi segreti iraniani”. Barberis, però, tiene a sottolineare l’improbabilità della pista azera.

Un deposito munizioni delle forze armate iraniane colpito da un drone il 29 gennaio 2023. Foto: ANSA/ FRAME DA VIDEO AFP.

Brahim Ramli, analista strategico presso il Parlamento Europeo, è dell’idea che sia troppo presto per raggiungere una conclusione, perché “potrebbe anche essersi trattato di un’opera dell’aviazione americana“. Ad ogni modo, delle tante piste, “quella di un’operazione israeliana, svolta con il semaforo verde di Washington, è la più plausibile”.

Sul come e sul perché il blitz abbia avuto luogo, Ramli non ha dubbi: “Una rappresaglia per l’invio di armi in Ucraina”, “un attacco perpetrato dall’interno, dai tanti agenti che Israele ha in loco, come ricordano la lunga scia di sabotaggi e il più recente omicidio di Mohsen Fakhrizadeh Mahabadi”.

Un sabotaggio a più firme?

Il blitz su Esfahan va letto e inserito nel microcontesto delle guerre irano-israeliane, nel quale si inquadra il fattore Azerbaigian, e nella grande cornice della competizione tra grandi potenze, di cui la guerra in Ucraina è stata sino ad oggi la più violenta e iconica espressione.

Lo sciame di attacchi segue di un giorno l’attentato all’ambasciata azera di Teheran, tanto che non sarebbe da escludere a priori la tesi di un appoggio esterno di Baku – da dove è possibile che sia partita la flottiglia di droni –, e avviene sullo sfondo del crescendo di tensione nell’area Israele-Palestina – nella quale si intravede la longa manus iraniana – e dell’aggravamento quanti-qualitativo delle battaglie in Ucraina.

I droni potrebbero essere decollati dall’Azerbaigian, dove si vocifera della presenza di una base segreta israeliana in funzione anti-iraniana sin dall’era Obama – sulla cui effettiva esistenza, però, Barberis esprime dei dubbi alla luce della politica azera sul centellinamento delle infrastrutture militari straniere sul proprio territorio –, ma, se così fosse, sorgerebbe spontanea la domanda sull’efficienza del sistema di sorveglianza dei cieli dell’Iran.

In alternativa alla pista azera, è possibile che quello che fonti anonime hanno descritto al Jerusalem Post come un “successo fenomenale” sia stato concretizzato con l’aiuto di agenti in loco, non per forza israeliani, ovvero di quinte colonne. Esfahan, del resto, non è stata scelta a caso: è uno dei grandi ventri molli dell’Iran. Teatro di un ciclo di sabotaggi (riusciti) tra il 2020 e il 2021. Luogo in cui una cellula curda, operante in combutta col Mossad, avrebbe dovuto compiere grandi danni contro obiettivi critici – un complotto sventato nel luglio 2022. E uno degli epicentri dell’insurrezione per Mahsa Amini.

Esfahan, in estrema sintesi, è stata selezionata con cura dagli 007 del Mossad. Perché ne è stata testata la porosità, più volte, in passato. Perché pullulante di zone grigie utilizzabili per nascondere armi introdotte clandestinamente, droni inclusi, come baraccopoli e monti. E perché, da tempo, è stata infiltrata da agenti provocatori, doppiogiochisti e spie – assoldati, in particolare, nella comunità curda.

Teheran piange, Mosca non ride

Israele non può inviare armamenti all’Ucraina, perché trattasi di una linea rossa tracciata con inchiostro simpatico dalla Russia, ma l’appartenenza all’alleanza di Rammstein impone costi e scelte. Il costo di un allontanamento da Mosca. La scelta di aiutare Kiev “nel dietro le quinte“, come dichiarato dall’ambasciatore israeliano a Berlino, Ron Prosor, alla vigilia del blitz su Esfahan.

Aggredendo i siti di produzione e stoccaggio di armi avanzate dell’Iran, col sicuro beneplacito della presidenza Biden – intuibile da un vertice a porte chiuse Cia-Mossad avvenuto qualche tempo prima degli attacchi di fine gennaio –, Israele potrebbe aver però violato quella linea rossa nelle relazioni con la Russia che, fino al 27 gennaio 2023, aveva avuto l’accortezza di rispettare.

Colpendo Esfahan, distruggendo scorte di droni e (forse) di missili ipersonici in fase di sviluppo, Tel Aviv ha premuto l’acceleratore sul boicottaggio del programma di armamento iraniano e Washington ha mandato un avvertimento a più destinatari: Mosca, che vede colpito un proprio armaiolo, Teheran, che viene invitata a uscire dal teatro ucraino, e chiunque altro voglia unirsi al fronte filorusso nelle vesti di cobelligerante informale, da Pechino a Pyongyang.

Il raid su Esfahan come segnale di un’ulteriore internazionalizzazione del conflitto in Ucraina, o come conferma dell’ingresso della rivalità irano-israeliana nello scontro Russia-Stati Uniti, più che come ennesimo atto della guerra senza limiti del Mossad alla corsa alle armi dell’Iran. Lo confermerebbero, peraltro, le eloquenti esternazioni dei personaggi-chiave della presidenza Zelenskij.

War logic is inexorable & murderous. It bills the authors & accomplices strictly.
Panic in RF – endless mobilization, missile defense in Moscow, trenches 1000 km away, bomb shelters preparation.
Explosive night in Iran – drone & missile production, oil refineries.
🇺🇦 did warn you

— Михайло Подоляк (@Podolyak_M) January 29, 2023

Le conseguenze potrebbero essere imprevedibili

Sulle nostre colonne si scrive dal 24 febbraio 2022 che Vladimir Putin, cadendo nel tranello afgano dell’amministrazione Biden, ha aperto uno scrigno di Pandora “destinato a traghettare l’umanità verso mete inesplorate e pericolose, scenari da hic sunt leones“. Eventi come l’entrata irruente delle guerre sino-taiwanesi e delle guerre irano-israeliane nello scontro Russia-Stati Uniti, più che suggerire, sembrano dimostrare.

Se di spedizione punitiva israelo-americana per il coinvolgimento iraniano alla cosiddetta operazione militare speciale si fosse effettivamente trattato, e non di nuovo atto della faida tra Tel Aviv e Teheran, è lecito supporre che Mosca potrebbe interpretarla come una sfida. E alzare, di conseguenza, l’asticella della violenza. Pan per focaccia.

Se la Russia stesse pensando che gli Stati Uniti e i loro alleati vogliano arrogarsi il diritto di colpire i suoi sponsor militari, allo scopo di spaventarli e di spingerli a defilarsi, logica vorrebbe il blitz su Esfahan possa spianare la strada a rappresaglie nei confronti degli armieri dell’Ucraina. Creative. Cibernetiche. O simili, magari, al sabotaggio del gasdotto baltico di inizio 2023.

L’unica cosa certa, all’interno del mare di imprevedibilità e volatilità in cui sta nuotando il sistema internazionale dallo scoppio del “super-11 settembre“, è che la guerra in Ucraina verrà rammentata come il grande banco di prova del Secolo israeliano. Il luogo fisico e metafisico in cui Tel Aviv ha dovuto rinunciare al suo storico “disallineamento a geometria variabile“, creando una spaccatura con Mosca nel maldestro tentativo di avere pesce e zampa d’orso.

La rottura russo-israeliana si ricomporrà, ché ne va della sicurezza nazionale e della politica regionale di Tel Aviv, ma le cicatrici resteranno. Giacché gli amici si vedono nel momento del bisogno, quale è una guerra, e Mosca non dimenticherà il sostegno ricevuto da Teheran, anche e soprattutto per via del “fattore Esfahan“.

Una delle grandi tendenze da monitorare nel dopoguerra, che dal conflitto è stata catalizzata, sarà la rottura russo-israeliana. La quale, pur raccomodata, potrebbe rivelarsi il casus foederis di uno spettro brzezinskiano a lungo rimasto tale, nonostante l’aggravamento della competizione tra grandi potenze, e cioè la materializzazione di una coalizione antiegemonica sino-russo-iraniana.

Dalla piega che prenderanno alcune tendenze stimolate dalla guerra in Ucraina, dal consolidamento della triade Mosca-Pechino-Teheran alla Battaglia dell’Atlantico, dipenderanno le sorti della Terza guerra mondiale in frammenti. Frammenti che i vari capitoli di questo maxi-conflitto per il fato del sistema internazionale vanno unendo, sistematizzando in blocchi, avvicinando il momento del redde rationem tra Momento unipolare e Sogno post-americano.

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