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Viaggio nella rete di Al Qaeda: ecco dove è ancora pericolosa – InsideOver

Al Qaeda ha un nuovo capo, Saif Al Adel. Un rapporto Onu molto dettagliato ha messo in chiaro come il controllo della creatura di Osama Bin Laden sia passata a una delle menti militari dell’organizzazione. Oggi, hanno scritto gli analisti delle Nazioni Unite, “La base” viene controllata dall’uomo dai molti nomi e molti talenti, architetto dei campi di addestramento in Sudan e Afghanistan, addestratore e alle volte anche guardia del corpo dello sceicco del terrore. Lo stesso Al Adel che il 18 maggio del 1996 fece da vice, con tanto di cartina in mano, a un pilota russo che ai comandi di un Tupolev portò quello che restava di Al Qaeda dal Sudan all’Afghanistan.

La creatura che Adel si trova a governare è molto diversa da quella di Bin Laden, mutata sia per necessità che per cause di forza maggiore. La guerra al terrore scatenata dall’amministrazione Bush dopo l’11 settembre ha cambiato il DNA di Al Qaeda ma non l’ha mai davvero stroncata. Oggi, si legge nel dossier dell’Onu, rimane insieme all’Isis e a tutti i rami affiliati una minaccia per tutte le zone di conflitto, inclusi i Paesi vicini. Questo “inclusi i paesi vicini”, non è banale, ma ci arriveremo tra poco.

La questione della successione

In questa fase storica Al Qaeda si trova nella particolare condizione per cui formalmente è senza leader, o meglio, non lo può nominare con proclami e propaganda. Da un lato non può fare un riconoscimento formale della morte di Ayman Al Zawahiri avvenuta a Kabul per non accedere un faro sulla protezione del regime talebano, e dall’altro non può parlare apertamente della nomina di un leader che si trova in Iran. Il fatto che il capo di un’organizzazione sunnita viva in un Paese sciita, da circa vent’anni solleva delle questioni teologiche di non poco conto, per non parlare del possibile controllo dei pasdaran sulle sue attività.

L’aspetto forse più paradossale è che Al Adel potrebbe essere l’uomo più pericoloso alla guida di Al Qaeda. Mentre Bin Laden e Al Zawahiri avevano lavorato molto sotto l’aspetto ideologico, il nuovo capo ha una formazione militare e strategica, è un operativo di lungo corso e può dare un impulso alle attività del gruppo. Al momento i rami più pericolosi sono quelli affiliati, come Al Shabaab in Somalia che acquista sempre più potere, ma anche Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (JNIM) che ha allargato le operazioni in Africa Occidentale e Sahel.

I rapporti delle intelligence dei vari Paesi hanno però anche ricostruito alcuni dei network operativi di Al Qaeda e dimostrano comunque che l’organizzazione è vitale, e non solo in aree di guerra. E infatti si registrano movimenti in settori non lontanissimi dall’Europa e dall’Italia.

Le operazioni in Libia

Operativi qaedisti da tempo usano la Libia come Paese snodo per alcune delle loro operazioni. È il caso di Ubari, un centro tra le pieghe del deserto che prima del collasso libico contava circa 35 mila abitanti. L’oasi del Fezzan viene considerata come uno snodo chiave delle attività in tutta l’area. Operativi di Al Qaeda e del ramo affiliato JNIM hanno intensificato il lavoro nella zona usandola come punto di transito per spostare combattenti dal Niger alla Libia. Il dossier non specifica le destinazioni successive di questi combattenti, se verso Nord, e quindi le coste sul Mediterraneo, o in altri settori del Sahel.

Ma spiega che in tutto il Sud della Libia la formazione terroristica usa una strategia di matrimoni misti con le tribù locali per mantenere legittimità. Una tecnica già vista in altri contesti con stati fallitici, come il grande inferno della guerra in Yemen. Al momento il grosso delle operazioni sono concentrate sui Paesi di quella zona, compreso il Nord del Mali e le sue città di confine, utilissime per far circolare uomini, armi, droghe e altri traffici. Non a caso scrive l’Onu, le cellule locali di Al Qaeda hanno affinato il lavoro di logistica.

Il nodo dei Balcani

Se l’Africa rappresenta sicuramente uno dei Paesi in cui il rischio del terrorismo islamico è più alto, non si possono sottovalutare anche altri settori vitali per l’Europa. Uno di questi è i Balcani. Secondo uno dei Paesi che ha fornito informazioni agli analisti delle Nazioni Unite l’area può rappresentare una delle porte di accesso all’Europa per i terroristi.

Nell’agosto scorso forze spagnole in un’operazione congiunta con operativi Marocchini hanno arrestato una coppia di terroristi in Spagna e Austria. I due, hanno scoperto gli inquirenti, si erano uniti ad Al Qaeda nel 2014 durante un periodo passato a combattere in Siria. Le indagini hanno evidenziato che i due combattenti erano riusciti a viaggiare in clandestinità attraversando Turchia, Bulgaria, Serbia, Ungheria e infine Austria.

La coppia sarebbe riuscita a raggiungere l’Ue grazie a un network di trafficanti in Serbia capace di fornire loro passaporti per l’area Schengen. Per ora la rete non sembra estesa, ma la penetrazione dei combattenti affiliati ad Al Qaeda e Isis è accertata e, ha notato uno degli Stati membri che ha fornito materiale per il dossier, è necessario rinforzare i controlli lungo il fianco sud orientale dell’Europa.

La macchina della propaganda

I confini non sono però l’unico terreno da presidiare. Nonostante la dissoluzione del Califfato delle banidere nere e la fine della stagione dello Stato Islamico, la macchina della propaganda non si è mai fermata. Al momento una delle minacce che restano molto difficili da intercettare è quella dei lupi solitari. L’indottrinamento non si è mai davvero fermato. Se da un lato quello targato Isis ha perso influenza, quello di Al Qaeda ha fatto tesoro dell’ultimo decennio e lavorato per mettere in piedi una macchina abbastanza efficace.

La punta di diamante di questa iniziativa è il magazine in lingua inglese Mujahideen in the West, una pubblicazione che dichiara di voler puntare ai giovani per incitarli a compiere operazioni in autonomia. A questo si unisce il fallimento dei programmi di de-redicalizzazione. Si registra un numero crescente di aggressioni agli agenti penitenziari da parte di individui radicalizzati, ma non solo. Pure il tracciamento di chi viene rilasciato è difficile e incompleto e lascia delle sacche di potenziali rischi.

La questione della Siria

Un altro focolaio di crisi capace di alimentare la fiamma del terrorismo jihadista rimane il caos siriano. Il Nord Est del Paese, in particolare, rappresenta uno dei porti sicuri del terrore, Al Qaeda inclusa. Mentre il mondo era concentrato e preoccupato della minaccia del Califfato di Al Baghdadi tra le sabbie di Siria e Iraq, più a Occidente operativi di Al Qaeda realizzavano il proprio califfato nella provincia siriana di Idlib, che oggi è sotto il controllo del gruppo affiliato Tahrir al-Sham (HTS), ultima emanazione del Fronte Al Nustra.

Ad oggi, notano ancora le agenzie di intelligence, l’affiliato gestisce una forza tra i 7mila e 10 mila uomini, mille dei quali stranieri. La formazione ha mantenuto una certa vitalità nell’area non solo controllando la provincia di Idlib, ma con sortite anche verso nord, come la zona di Afrin. Da tempo Abu Mohammad al-Julani, a capo del gruppo, fa di tutto per mostrare un’immagine governativa, ma in realtà il “qaedistan” disegnato in quel lembo di Siria è fatto di brutale controllo del territorio, arresti e torture. La gestione di servizi, tassazione della popolazione civile, estorsioni e soprattutto gestione delle risorse tramite una società denominata Watad Petroleum permette al gruppo di incassare oltre a un milione e mezzo di dollari.

Ma in Siria opera anche un altro gruppo che ha strettissimi legarmi con Al Qaeda: Hurras al-Din. Nato nel 2018 da una scissione di Tahrir al-Sham, tra il 2018 e 2019 è finito subito nel mirino del dipartimento di Stato Usa che lo considerava così pericoloso da richiedere un coordinamento con le forze russe per raid mirati nel Nord della Siria.

Oggi la formazione mantiene una presenza di basso profilo e opera con alcuni attacchi solo a sud di Idlib e a nord di Latakia. Persino il numero degli effettivi è incerto, c’è chi parla di 1.500-2.000 uomini e chi invece sostiene non siano più di 500. Nonostante difficoltà finanziarie il gruppo mantiene l’ambizione di colpire obiettivi in Occidente e questo anche per il particolare legame con Al Qaeda. Il capo della formazioni, infatti è Samir Hijazi (anche se è noto con molti altri nomi). Classe ’77 e nato a Damasco, Hijazi è il genero proprio del nuovo leader qaedista Saif Al Adel e si dice riceva direttamente da lui gli ordini su come operare in Siria.

Mappa di Alberto Bellotto

Il centro Afghano

Il cuore di Al Qaeda, ormai legato a compiti di coordinamento delle varie filiali globali, resta per ora legato all’Afghanistan. La presenza di Al Zawahiri a Kabul ha creato grandi imbarazzi ai talebani e alla Rete Haqqani, proprietario della casa in cui risiedeva il medico egiziano, ma ha confermato come il Paese resti un luogo sicuro per Al Qaeda. E nessun analista prevede che nel breve periodo questa situazione possa cambiare. Resta ancora un’ultima incognita: Al Adel rimarrà in Iran o si sposterà in Afghanistan ridare slancio al gruppo. Ma soprattutto Teheran lo lascerà andare?

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