Novità dalla consulta sul Vaccino anti-Covid: “il tampone non bassa, serve immunizzare Medici, Infermieri, OSS e Professioni Sanitarie”.
Novità dalla Consulta per quanto concerne il Vaccino anti-Covid per Infermieri, Infermieri Pediatrici, Medici, Ostetriche, Operatori Socio Sanitari, Fisioterapisti e Professioni Sanitarie. Il dubbio è che il semplice tampone di controllo serva a poco.
I dati scientifici disponibili hanno imposto per il personale sanitario l’obbligo vaccinale non sostituibile dalla misura del tampone per la prevenzione dall’Infezione da Coronavirus. Lo scrive la Consulta nella sentenza depositata oggi con la quale ha stabilito che la previsione, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da Sars-Cov-2 anzichè di quello di sottoporsi ai relativi test diagnostici (il cosiddetto tampone), non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili.
In risposta alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai tribunali ordinari di Brescia, di Catania e di Padova, la Corte ha quindi affermato che la normativa censurata ha operato un “contemperamento non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione”.
Secondo la Corte, “il sacrificio imposto agli operatori sanitari non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all’andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini”. La mancata osservanza dell’obbligo vaccinale – ricorda poi Palazzo della Consulta – ha riversato i suoi effetti sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, determinando la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio.
La sentenza ha ritenuto “non contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza” anche la scelta legislativa di non prevedere, per i lavoratori del settore sanitario che avessero deciso di non vaccinarsi, un obbligo del datore di lavoro di assegnazione a mansioni diverse, a differenza di quanto invece stabilito per coloro che non potessero essere sottoposti a vaccinazione per motivi di salute o per il personale docente ed educativo della scuola. I giudici, infatti, hanno considerato tale scelta “giustificata dal maggior rischio di contagio, sia per se’ stessi che per la collettività, correlato all’esercizio delle professioni sanitarie”.
La sentenza, infine, ha sancito che quanto previsto dalle norme censurate – secondo cui al lavoratore che avesse scelto di non sottoporsi alla vaccinazione non erano dovuti, nel periodo di sospensione, la retribuzione ne’ altro compenso o emolumento – ha giustificato anche la non erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio. La Corte, infatti, ha ritenuto non comparabile la posizione del lavoratore che non ha inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, casi questi ultimi in cui l’assegno alimentare può essere erogato.
In particolare, la Corte ha escluso che fosse costituzionalmente obbligata la soluzione di porre a carico del datore di lavoro l’erogazione solidaristica di una provvidenza di natura assistenziale in favore del lavoratore che non avesse inteso vaccinarsi e che fosse, perciò, temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa.
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