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Un miliardo per le munizioni. Il piano Ue per sostenere Kiev

La notizia circola da circa 24 ore. L’Unione europea è pronta a formulare un piano da un miliardo di euro per acquistare munizioni di diverso calibro da inviare all’Ucraina. In base a quanto si evince dalla proposta, i Paesi Ue che vorranno acquistare le munizioni per sostenere l’esercito ucraino saranno rimborsati direttamente da Bruxelles attraverso il Fondo europeo per la pace (Epf).

La conferma è arrivata il 2 marzo da fonti interne all’Unione europea che, come riporta l’Ansa, hanno confermato l’avvicinamento di “una grande coalizione tra i Paesi Ue sugli appalti congiunti per fornire munizioni all’Ucraina”, con un cambiamento che avrà anche conseguenze importanti “sulla difesa comune europea”. In base a quanto dichiarato dal funzionario europeo, l’accordo – attualmente trovato da 26 Paesi su 27 in attesa dell’ok della Danimarca – prevede il coinvolgimento per “aggregare la domanda” dell’Agenzia europea per la Difesa.

Sul punto ha indagato anche il settimanale tedesco Der Spiegel che, visionato il documento che circola in queste ore nei corridoi della Commissione europea, spiega come la decisione Ue si basi su tre pilastri: aumento delle munizioni inviate all’Ucraina; l’intervento dell’Agenzia europea per la difesa per quanto riguarda l’acquisto di proiettili da 155 millimetri in modo da bilanciare le scorte degli arsenali europei con quelli ucraini; l’investimento nella produzione in Europa di munizioni per garantire scorte strategiche.

Il nodo delle munizioni, per quanto meno “mediatico” rispetto all’invio dei carri armati o addirittura dei caccia F-16, rappresenta un elemento essenziale degli aiuti bellici all’Ucraina. Se infatti l’industria bellica si è sempre più orientata in questi anni su mezzi, sistemi d’arma e tecnologie sempre più avanzate, l’esplosione di un conflitto tradizionale con impiego massiccio di fanteria e artiglieria ha riportato al centro della discussione la produzione costante di munizioni. A questo proposito, il Financial Times aveva già mostrato a febbraio un dato significativo: l’esercito ucraino sparava, almeno fino allo scorso mese, circa 5mila colpi d’artiglieria al giorno. Lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha più volte detto che la quantità di proiettili utilizzati da Kiev in questo conflitto è di fatto insostenibile per il blocco occidentale se non aumenta sensibilmente il livello della produzione.

I Paesi europei, più o meno in ordine sparso, hanno modificato o iniziato a modificare la loro politica industriale per sostenere l’invio di munizioni alle forze di Volodymyr Zelensky. La Bulgaria ha riattivato la produzione di armi e munizioni di matrice sovietica interrotta con la caduta dell’Urss proprio per ovviare alla carenza negli arsenali ucraini (che invece ancora usano quel tipo di armi). Il cancelliere tedesco Olaf Scholz questa settimana ha annunciato di voler aumentare il ritmo della produzioni di munizioni e pezzi di ricambio per sostenere l’Ucraina. Il presidente polacco Andrzej Duda ha affermato in conferenza stampa di aver discusso con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden “la produzione congiunta di munizioni per l’Ucraina”. E la stessa presidente della Commissione europea, alcuni giorni fa, aveva rivelato il programma congiunto europeo per l’acquisto e la fornitura di armi e munizioni all’Ucraina. Quello che poi è stato confermato in queste ore come prossimo all’approvazione nelle opportune sedi europee.

Rimane, in ogni caso, il grande punto interrogativo della capacità di produzione dell’industria bellica occidentale. Perché se è vero che non sembra essere un problema il denaro – sia privato che pubblico, altro è la possibilità concreta di aumentare l’offerta, che si deve mettere in parallelo con la crisi della catena di approvvigionamento, la scarsità di materie prime (per esempio di acido nitrico), la ricerca di manodopera specializzata e il costo dell’energia. Punti interrogativi su cui aggiunge quello della catena logistica che, come visto anche negli Stati Uniti, ha manifestato dei deficit strutturali non irrilevanti.

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