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Ucraina, il segnale dell'esercito russo sul futuro dei territori occupati

I segnali sul presente e sul futuro della guerra in Ucraina arrivano a volte anche da alcuni segnali che appaiono secondari rispetto alle trattative politiche e alle manovre sul campo di battaglia. Uno di questi è giunto di recente dalla Difesa russa, e in particolare da una decisione sul fronte dell’organizzazione delle truppe russe. Come riportato infatti dall’agenzia russa Tass, le forze armate di Mosca hanno deciso di rimodulare il territorio sotto il comando del distretto militare meridionale (quello di Rostov sul Don), integrando al suo interno anche le aree occupate e entrare formalmente a far parte della Federazione attraverso i “referendum farsa”. Si tratta in particolare delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, della regione di Zaporozhye e quella di Kherson: quattro nuove entità che il 4 ottobre, con la legge ratificata dal presidente russo Vladimir Putin, hanno ufficializzato la loro adesione a Mosca.

La svolta sancita dal ministero della Difesa russo, seppure al momento più formale che sostanziale, è stata presa subito in considerazione dall’intelligence britannica che, nel suo tradizionale briefing sull’Ucraina, ha parlato di una scelta che indica un’aspirazione “a lungo termine” da parte di Mosca. Questo, spiegano gli 007 di Londra, non avrà probabilmente un impatto immediato sulla campagna militare. Tuttavia, l’impressione è che la nuova rotta di Mosca vada interpretata insieme a un’altra decisione, e cioè quella con cui il ministro Sergei Shoigu ha annunciato “raggruppamenti di forze autosufficienti” in Ucraina. Una decisione che, a detta di molti analisti, indica che la Russia ha delineato una prospettiva in cui su quei territori non saranno più presenti uomini di altri distretti. Gli stessi che invece sono usati attualmente per la cosiddetta “operazione militare speciale”. E che quindi di fatto non venga più considerata a livello di immagine come una invasione.

Apparenti sottigliezze burocratiche che però racchiudono un processo propagandistico, strategico e culturale sulla guerra da non sottovalutare. L’idea che vuole lanciare il Cremlino sembra essere quella di una graduale assimilazione delle regioni occupate in modo da rendere sempre meno “emergenziale” la loro gestione. Questo, nell’idea di Putin, vale in futuro a livello economico e politico. Ma intanto deve valere anche dal punto di vista militare.

Questo si vede sia a livello tatto che a livello strategico. Sotto il primo punto di vista, è importante notare come nelle ultime settimane lo stallo della controffensiva ucraina – cercato a ogni costo da Mosca – abbia innescato quel processo di rafforzamento della presenza russa in tutto il territorio del Donbass. Mosca voleva che il blocco delle operazioni – caratterizzato anche da alcune conquiste sulla linea del fronte orientale – portasse a un risultato che per gli strateghi russi è fondamentale: acquisire tempo per far arrivare nelle regioni invase riservisti e unità che colmassero il vuoto lasciato in questi mesi dall’alto numero di caduti. Negli ultimi giorni, sono giunte notizie che nella provincia di Mariupol vi sarebbero migliaia di nuovi arrivi tra i soldati russi. Petro Andriushchenko, consigliere del sindaco ucraino della città, ha scritto su Telegram che nell’ultima settimana le forze di Mosca sono aumentate di circa 15mila unità e, ha detto, “possiamo parlare di circa 30mila occupanti, concentrati a Mariupol e nella regione”. Un aumento che si lega a quanto detto dalla stessa intelligence ucraina che, attraverso Andriy Cherniak, ha fatto sapere che le forze di occupazione “vengono ridispiegate a est con gruppi d’assalto aggiuntivi, unità, armi ed equipaggiamento militare” con lo scopo, secondo i servizi di Kiev, di eseguire l’ordine di Vladimir Putin di occupare il territorio di Donetsk e Luhansk “entro marzo”. L’ipotesi dell’offensiva è stata rilanciata anche dal Financial Times. Il quotidiano britannico, citando un anonimo consigliere della Difesa ucraina, ha detto che in realtà l’offensiva potrebbe già iniziare nei prossimi dieci giorni e si dovrebbe concentrare principalmente nell’area occidentale della regione di Luhansk, tra Kreminna e Lyman.

Il rafforzamento della presenza a est in attesa di una nuova offensiva si accompagna poi al desiderio di mantenere il pieno controllo delle aree occupate. La mobilitazione di nuove unità per gestire i territori e la riorganizzazione del comando meridionale si unisce infatti a una serie di misure sul fatto che da Mosca si vuole lanciare il messaggio di una permanenza ormai definitiva. Anche l’annuncio fatto a dicembre dell’anno scorso di utilizzare Mariupol e Berdiansk come basi “per le navi di appoggio, i servizi di soccorso d’emergenza e le unità per la riparazione delle navi della marina” implicava un segnale di rafforzamento della catena logistica nell’area del Mar d’Azov, a sottolineare il desiderio di controllo della regione tra Crimea e Donbass. Il Cremlino, come detto in precedenza, vuole inviare il messaggio che la gestione delle regioni occupate sia quello di territori ormai “protetti” e sostanzialmente integrati al sistema russo. Lo dimostra anche la dichiarazione della presidente del Consiglio della Federazione, Valentina Matvienko, secondo la quale, nel settembre del 2023, le elezioni regionali si terranno anche nei territori occupati in quanto “sono soggetti a pieno titolo della Federazione Russa e sono cittadini a pieno titolo della Russia”.

Un modo per mostrare le basi negoziali per un eventuale accordo, su cui Volodymyr Zelensky ha già fatto intendere di non volere cedere, ma anche per tranquillizzare un’opinione pubblica che, a un anno dall’inizio della guerra, si interroga sulla effettiva realizzazione degli obiettivi di quella che è ancora chiamata “operazione militare speciale”.

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