Clamorosa rivelazione dai Twitter Files diffusi dal giornalista indipendente Matt Taibbi. Un think tank di orientamento progressista, che affermava di monitorare e tracciare l’attività della Federazione Russa negli Stati Uniti, era in realtà responsabile di diffondere “fake news” sulla Russia e sull’influenza del Paese nella politica statunitense.
Amplificando l’influenza di Mosca nel Paese e accusando – in maniera falsa e pregiudiziale – alcuni account di orientamento conservatore di essere legati al Cremlino quando non c’erano prove al riguardo. Parliamo della “Hamilton 2.0 Dashboard”, un progetto dell’Alliance for Securing Democracy presso il German Marshall Fund degli Stati Uniti, che sostiene di fornire “un’analisi sommaria delle narrazioni e degli argomenti promossi da funzionari governativi russi, cinesi e iraniani e dai media statali su Twitter, YouTube, siti Web di notizie sponsorizzati dallo stato e tramite comunicati stampa ufficiali e trascrizioni pubblicati dai rispettivi ministeri degli affari esteri”. La dashboard include anche una piccola “raccolta di account Twitter di media” legati al Cremlino.
Fake news sulla Russia, Twitter sapeva
Il Consiglio consultivo dell’Alliance for Securing Democracy comprende figure di primo piano come il principale alleato di Hillary Clinton, John Podesta, il direttore della Cis dell’era Obama Michael Morell, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia Michael McFaul e l’ex attivista neo-conservatore Bill Kristol. Ebbene, secondo il New York Post, l’ultima serie di tweet dei di Twitter Files, la quindicesima finora, ha rivelato come “Hamilton 68” abbia ripetutamente insistito sull’esistenza di una “diffusa e profonda penetrazione russa dei social media”, rivelando come gli ex dirigenti di Twitter abbiano spesso e volentieri contestato questa tali affermazioni internamente. “Penso che dobbiamo solo dichiararlo, è così”, scrive l’allora capo della fiducia e della sicurezza di Twitter Yoel Roth in un’e-mail dell’ottobre 2017. “Hamilton dashboard accusa falsamente un gruppo di legittimi account di destra di essere bot russi”, ha aggiunto nel gennaio 2018.
L’attività di Hamilton 68
“Hamilton 68” contrassegnava come “bot russi” account che, in realtà, non erano affatto legati a Mosca. I dirigenti di Twitter ne erano perfettamente consapevoli e parlavano di quest’attività torbida e poco chiara al loro interno. “Era una truffa. Hamilton 68 ha semplicemente raccolto una manciata di account per lo più reali, per lo più americani, e ha descritto le loro conversazioni come intrighi russi”, ha scritto Matt Taibbi, che ha pubblicato l’ultima tranche di file venerdì. La cosa più grave è che molti media – soprattutto di orientamento liberal – hanno preso per buona l’attività di ricerca di Hamilton 68, sostenendo un’ampia influenza di Mosca nel dibattito interno americano che, in realtà, non esisteva, soprattutto durante gli anni della presidenza Trump, al fine di alimentare il falso scandalo del Russiagate.
Ma se un ex dirigente come Roth voleva affrontare pubblicamente la cosa, l’allora capo della comunicazione politica globale di Twitter, Emily Horne, era strettamente legato all’attività del think-tank liberal. Così, la questione non è mai stata sollevata pubblicamente.
Cosa ci dicono i Twitter Files
I documenti diffusi nelle ultime settimane dimostrano, ancora una volta, la connessione fra potere politico e Big Tech al fine di censurare i contenuti scomodi e limitare così la libertà di espressione garantita dalle costituzioni occidentali. Il nuovo proprietario di Twitter, Elon Musk, ha “utilizzato” il giornalista indipendente Matt Taibbi per pubblicare una prima serie di documenti interni nella serata di venerdì 2 dicembre, svelando le pressioni politiche per limitare il “free speech”, e come questo sforzo ha subito un’accelerazione in occasione delle ultime elezioni presidenziali, con l’importante decisione dell’ottobre 2020 da parte di Twitter di bloccare la diffusione dello scoop del New York Post circa i contenuti compromettenti del laptop di Hunter Biden, figlio del presidente Usa e al tempo sfidante di Donald Trump.
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