La battaglia di Soledar rappresenta un punto importante per comprendere gli sviluppi della guerra in Ucraina. La feroce battaglia che ha avuto luogo non lontano dalla vera chiave strategica di questa fase bellica (la città di Bakhmut) ha infatti mostrato, ancora una volta, l’importanza delle operazioni terrestri e del fattore umano.
La quantità di uomini impiegati e l’uccisione dei soldati nemici sono elementi che vengono continuamente messi al centro delle notizie che giungono dal fronte e delle dichiarazioni di comandanti e leader politici. Qualcuno, per la grande e terribile battaglia che si combatte nell’area, ha parlato di “tritacarne”. La viceministra della Difesa ucraina, Hanna Maliar, ha espresso con un’immagine estremamente cruda la situazione: “I soldati russi calpestano letteralmente i cadaveri”. Sul campo è arrivato il capo della Wagner, Evgenij Prighozin, per far capire l’importanza dei suoi contractors, tra cui sono presenti anche prigionieri a cui è stata promessa la libertà in cambio dell’arruolamento. E l’impressione è che, al netto di alcune innegabili avanzate delle forze russe, l’obiettivo ucraino è quello resistere il più possibile per rendere la battaglia una vittoria di Pirro di Vladimir Putin: un modo per fiaccare la prima linea delle truppe russe provocando il più alto numero di morti.
Il fattore tempo per i russi
La battaglia mette in luce, ancora una volta, quello che sembra essere il vero convitato di pietra di questa guerra: il fattore tempo. Un’incognita che sembra essere per entrambi gli schieramenti una conquista fondamentale. Per i russi, prendere tempo è sempre stata la strategia ideata dal generale Sergej Surovikin, comandante delle operazioni in Ucraina prima della designazione di Valerij Gerasimov. Dopo la controffensiva ucraina, bombardare l’intero territorio ucraino, ritirarsi dove era impossibile evitare una possibile debacle, trincerarsi in alcune aree critiche significava togliere la spinta alla controffensiva di Kiev ma soprattutto fare in modo che il ricambio atteso con la “mobilitazione parziale” portasse i suoi frutti. I comandi russi avevano bisogno di nuove truppe per controllare il territorio conquistato e annesso e di un ricambio sul fronte per non affidarsi esclusivamente alla Wagner e ai ceceni di Ramzan Kadyrov. Tutto questo non può realizzarsi senza che i coscritti siano minimamente addestrati, le truppe riarmate, la logistica rafforzata e alimentata. E questo tempo poteva essere guadagnato solo resistendo e devastando le retrovie ucraine da lontano.
Il fattore tempo per gli ucraini
Per gli ucraini, che invece avevano necessità di sfruttare l’onda positiva della controffensiva a est e verso Kherson, ora il tempo è essenziale per due ragioni. Da un lato più il tempo passa negli scontri, più questo implica perdite per i russi. Dall’altro lato, il tempo serve a far sì che i soldati addestrati nei Paesi occidentali e dai consiglieri occidentali siano in grado di sfruttare il materiale bellico giunto dagli Stati che supportano le forze di Kiev. Molti analisti concordano sul fatto che sia impossibile che le nuove forniture dal blocco atlantico siano a disposizione dell’esercito ucraino per le battaglie in corso, in particolare per Soledar. Ma l’obiettivo di Volodymr Zelensky e del generale Valerij Fedorovyc Zaluznyj, comandante delle forze ucraine, è anche quello di far rifiatare un esercito che combatte su tutto il territorio da un anno e che inevitabilmente ha bisogno di armi che non tutti sanno usare nella maniera migliore.
Altri uomini al fronte: la mobilitazione russa
Il fattore umano e il fattore tempo, combinati tra loro, aiutano a comprendere anche un altro elemento che accomuna aggressore e aggredito: la riserva di uomini pronti a combattere. Se infatti entrambe le forze hanno bisogno di un arco temporale che aiuti le reclute e i soldati ad addestrarsi, riposarsi e tentare eventuali “spallate” a fine inverno, è chiaro che questo parte dal presupposto che Mosca e Kiev facciano affidamento su un retroterra di uomini da inviare al fronte.
La Russia ha già fatto capire di attingervi quando Putin ha deciso per la cosiddetta “mobilitazione parziale”: in quell’occasione furono 300mila le persone arruolate e, secondo il presidente russo, solo la metà sarebbe al fronte mentre l’altra è ancora in fase di addestramento. Questa affermazione – contestata dalle testimonianze di chi ha detto di essere in prima linea senza alcuna istruzione – serviva per smentire l’ipotesi di una nuova ondata di reclutamenti, ma da qualche tempo l’intelligence ucraina segnala che a Mosca si starebbe predisponendo un’altra chiamata alle armi. Scelta che secondo Kiev mostrerebbe di fatto le difficoltà delle forze russe impiegate nell’invasione, ma che manifesterebbe anche la quantità di personale potenzialmente utilizzabile dal Cremlino. Tema non secondario per un conflitto che si preannuncia ancora lungo e che per questo richiede un numero di soldati che le battaglie sta erodendo giorno dopo giorno ma che comunque indica che Mosca ha ancora nel suo arco diverse frecce, tra cui la quantità di uomini.
Ucraina, numeri contro qualità
Per l’Ucraina il problema è doppio. Kiev, a maggio dell’anno scorso, parlava della possibilità della creazione di un’armata “di un milione di uomini” composta da militari attivi, riservisti, unità di mobilitazione popolare e volontari di altri Paesi. Sulla cifra però gli analisti si erano divisi mostrando una certa forma di scetticismo: impossibile, a detta di molti, ritenere che l’Ucraina potesse fornire un milione di uomini pronti a combattere, dovendo questi lavorare in diversi aspetti della sopravvivenza del Paese. E in effetti appare difficile credere che un esercito sottoposto a bombardamenti in caserme e centri di comando possa organizzare e muovere un elevato numero di personale addestrato, così come non va dimenticato che ogni esercito va equipaggiato e armato e l’industria ucraina è quella di uno Stato colpito da un’invasione.
A questo si deve aggiungere il fatto che l’Ucraina ha bisogno, per colmare il proprio divario con la Russia, di armamenti che provengono da altri Stati, tra cui solo alcuni sono dell’ex blocco sovietico e quindi già noti alle forze armate di Kiev. Per imparare a usare le armi occidentali, più sofisticate e sicuramente più letali, occorre un addestramento non solo numericamente importante, ma anche di diverso tipo e che richiede tempo. Proprio per questo motivo, una recente analisi del The Atlantic sottolineava che la vera sfida non è a livello quantitativo, ma di qualità dei rifornimenti e delle armi: il blocco Nato punta sul fatto che la Russia continui a operare con un numero elevato di uomini poco addestrati, al contrario, l”obiettivo atlantico e ucraino è quello di far sì che la combinazione di sistemi occidentali e addestramento renda eludibile un dato su cui non si può fare a meno, quello della diversità della popolazione arruolabile.
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