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Sergej Naryshkin, il direttore del Svr

Sergej Evgen’evič Naryškin nasce il 27 ottobre 1954 a Leningrado, odierna San Pietroburgo, all’interno di una famiglia stanziata nella città da generazioni. Cresciuto con il mito della Grande guerra patriottica, che genitori e nonni avevano combattuto, partecipando alle operazioni di resistenza durante l’assedio di Leningrado, Naryškin mostra delle doti intellettive fuori dal comune, al di sopra della media, fin dalla tenera età.

Quello che si suol definire un uomo universale, cioè con ampie conoscenze in una pluralità di campi tra loro diversi, Naryshkin ha un invidiabile bagaglio di competenze e titoli nel 1980: primo segretario della sezione leningradese del Komsomol, laurea in radiomeccanica conseguita all’Istituto di meccanica di Leningrado, addestramento presso la Scuola superiore del Kgb, trilinguismo – russo, francese, inglese.



Nel 1980, nel corso del periodo di formazione alla Scuola superiore del Kgb, Naryshkin avrebbe incontrato Putin per la prima volta. Uno scambio di contatti e di alias – Naryškin era Naumov, Putin era Platov – destinato a lasciare il segno. I due, invero, avrebbero stabilito un rapporto di amicizia resistente al tempo, ai confini e alle rispettive carriere.

Dopo aver completato gli studi ed essere stato addestrato dal Kgb, nel 1982, Naryshkin entra nel comitato manageriale del prestigioso Politecnico di Leningrado nelle vesti di assistente al vicerettore e di vicecapo del dipartimento per le relazioni economiche con l’estero. Un inizio col botto, ma estraneo a quello che sarebbe stato il suo percorso, giacché nel 1988 sarebbe volato a Bruxelles per lavorare come agente segreto sotto copertura presso l’ambasciata sovietica in loco. E lì sarebbe rimasto fino al 1992, facendo poi ritorno in una patria completamente diversa, nelle mani dei sette banchieri e di Boris Eltsin, e scegliendo di mettersi al servizio dello Stato profondo.

Il ritorno a casa, a Leningrado – di nuovo San Pietroburgo nel 1991 –, è piacevole, sereno, intenso. Al Cremlino regnano il rublo e il dollaro, non più l’ideologia, ma ai livelli medio-bassi si sta preparando la resistenza. A prepararla è ciò che resta dello stato profondo, sopravvissuto alle purghe di Eltsin – il curatore fallimentare dell’intero apparato securitario e spionistico –, e la sede della congiura di palazzo è la storica anti-capitale, San Pietroburgo.

Naryshkin viene immediatamente introdotto nella cerchia di potere che sette anni più tardi consumerà il colpo di stato contro Eltsin, avvenuto e rimasto nell’assordante silenzio del dietro le quinte, entrando a far parte del Comitato per l’economia e le finanze di quel crocevia di leciti e illeciti che in quegli anni è l’Ufficio del sindaco di San Pietroburgo. Del quale una vecchia conoscenza, ex collega di spionaggio, è parte integrante: Putin.



La carriera di Naryshkin nella neonata Federazione russa è caratterizzata dall’eterogeneità. Passa dal pubblico al privato, poi di nuovo al pubblico, ricoprendo ruoli direttivi in banche – come Promstroybank – e organismi regionali – come l’oblast’ di Leningrado –, dedicandosi, in entrambi i casi, a investimenti e relazioni internazionali.

Nel 1999, anno del passaggio di scettro fra Eltsin e Putin, Naryshkin è a capo del Comitato per le relazioni economiche esterne e internazionali del corpo di governo dell’oblast’ di Leningrado, di cui San Pietroburgo è capoluogo. Ma non è il ruolo che Putin ha in mente per l’amico ed ex collega, delle cui abilità ha contezza, che nel 2004 lo elegge vice-premier, lo inserisce nell’amministrazione presidenziale in qualità di numero due del Dipartimento economico e ne benedice l’ingresso in Sovkomflot, Rosneft e Canale 1. Preludio di una scalata ai vertici della piramide del potere destinata ad accelerare negli anni successivi.

A seguito di un periodo di stagnazione durato il tempo di Dmitrij Medvedev, limitatosi a confermarne la presenza all’interno dell’Amministrazione presidenziale e a investirlo di un ruolo simbolico – presidente della Commissione sulla verità storica –, Naryshkin rientra nei gangli del potere, da cui comunque non era stato allontanato del tutto, ma solo marginalizzato, col ritorno di Putin alla guida del Cremlino nel 2012.

Rispetto alla prima parte dell’era Putin, che lo aveva visto ricoprire incarichi politici e governativi, Naryshkin viene incaricato dalla presidenza di fare ciò che sa fare meglio: lo 007. Il riavvio del duo Obama-Medvedev è entrato in coma, dopo aver ricevuto un violento fendente rispondente al nome di Euromaidan, e al silovik vengono affidati degli incarichi sensibili: stabilire contatti con la galassia dell’euroscetticismo, fornire consulenze in relazione al dossier ucraino, entrare nella diplomazia parallela.



Nel 2016, dopo aver tastato con mano il successo visibile e innegabile del Pivot to Euroskepticism – alleanze siglate con partiti antisistema di destra e sinistra, espansione delle idee eurasistiche, popolarizzazione della narrazione russa su Ucraina e competizione tra grandi potenze –, Naryškin viene nominato capo del potente servizio segreto per l’estero, volgarmente noto come Svr.

Non è un silovik dei tanti. Nel gennaio 2018, pur essendo destinatario di un visa ban in quanto inserito nell’elenco degli individui sanzionati per il coinvolgimento nella guerra in Ucraina orientale, Naryshkin mette piede a Washington per parlare di sicurezza. È il capo delle spie di Putin, che in lui ripone cieca fiducia e che a lui affida le proprie veci, e l’amministrazione Trump acconsente alla temporanea sospensione del visa ban.

Nel febbraio 2022, alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina, qualcosa sembra rompersi tra Putin e Naryshkin, dopo anni di amicizia, stima e collaborazione nel nome dell’Interesse nazionale. Il direttore del Svr viene infatti crocifisso in sala mensa da Putin, nel corso di un vertice del Consiglio di Sicurezza della Russia sul riconoscimento dell’indipendenza di Lugansk e Donetsk, e il video dell’umiliante botta e risposta fa il giro del mondo.

Naryshkin sarebbe stato titubante all’idea di un’invasione su larga scala dell’Ucraina. Un’invasione giustificata, peraltro, dalle informative realizzate dal suo Svr in loco sull’accoglienza tra la popolazione delle forze armate russe, sulla tenuta della presidenza Zelensky e sulla possibilità di accendere focolai di insorgenza nell’ovest del Paese. Informative rivelatesi errate, in toto, come la trasformazione (imprevista) dell’operazione militare speciale in una guerra di logoramento avrebbe poi dimostrato.

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