L’inchiesta belga sempre più fragile
Gian Domenico Caiazza — 19 Febbraio 2023
Esiste un garantismo a corrente alternata, assai diffuso nella politica nostrana, che fa più danni del peggiore fanatismo giustizialista. Esso, infatti, accredita l’idea che la invocazione dei principi di garanzia in favore delle persone indagate o imputate di un qualche reato sia in realtà motivata non da autentica fedeltà a quei principi, ma da ben più mediocri ed occasionali ragioni di convenienza politica. Quei principi, perciò, ne risultano sviliti e resi deboli e non credibili agli occhi della pubblica opinione, che li vede invocati o negletti dalle stesse persone, a seconda di chi siano gli indagati, e di quale sia la convenienza politica.
Esemplare, tra le ultime, è la recente vicenda giudiziaria belga su presunte corruzioni di parlamentari europei, in prevalenza italiani (ma non solo). Ne abbiamo già parlato, ma occorre ritornarci su, perché più passa il tempo, più la natura di quella indagine appare inspirata a metodi inquisitori arbitrari indegni di un paese civile. Ovviamente, come abbiamo già avuto modo di dire, detenere borsoni con centinaia di migliaia di euro nascosti sotto il letto dà subito la certezza di affari illeciti in corso, o già consumati. E se questo accade ad un uomo politico, la conseguenza immediata – salvo spiegazioni credibili – è la fine immediata della carriera, con una buona dose di ignominia.
Ma le regole del processo penale sono diverse: è onere di chi accusa ed indaga scoprire di quali attività illecite certe e concrete quei soldi siano il frutto. E quello che non può assolutamente accadere è che la libertà personale degli indagati, la gran parte dei quali non ha peraltro nemmeno il borsone sotto il letto, venga sacrificata prima di una sentenza di condanna senza che l’accusa abbia assolto l’onere di allegare chiari e consistenti indizi dei reati che vengono contestati.
Ebbene, più trascorre il tempo e meno abbiamo cognizione di approdi concreti sulle materiali attività illecite poste in essere dai vari indagati, nonostante -a quando apprendiamo- siano da tempo in corso attività collaborative da parte di alcuni di essi. Quali attività di favore, quali atti parlamentari, quali delibere esattamente sono state proposte e magari anche approvate su iniziativa da ciascuno degli indagati, da parte del Parlamento Europeo, in cambio di quel denaro? Sono perplessità espresse, per esempio, anche dalla Corte di Appello di Napoli a proposito della misura cautelare richiesta nei confronti dell’on. Cozzolino.
Quale atto illecito concreto e certamente identificabile si addebita a costui, da mesi braccato come un pericoloso criminale dal vorace giudice istruttore belga? E non parliamo della ex Vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, in carcere da tre mesi, con divieto di incontrare la piccola sua figlia se non in saltuarie ed eccezionali occasioni: quali atti materiali le si addebitano, commessi quando e come? E prima ancora, quali sarebbero le esigenze cautelari (fuga? inquinamento delle prove? reiterazione del reato?) che giustificano una così implacabile privazione della libertà personale prima di una sentenza di condanna? Insomma, perché questa donna non può essere indagata a piede libero, o almeno agli arresti domiciliari?
Il sospetto, più che legittimo ed ogni giorno che passa più concreto, è che il famoso giudice istruttore Claise stia aspettando che la donna confessi un qualche reato del quale egli sospetta, ma non ha saputo ad oggi raccogliere alcuna concreta traccia investigativa. Ebbene, tutti coloro che hanno a cuore elementari principi di garanzia della persona indagata, chiunque essa sia e di qualunque reato sia indagata, dovrebbero insorgere indignati. E invece, la collocazione politica degli indagati italiani fa sì che il fronte politico opposto esulti, magnificando il giudice sceriffo con titoli cubitali sui giornali di area.
L’occasione politica è imperdibile, ed ecco allora che i princìpi del garantismo, in altre occasioni invocati con veemenza ed indignazione, vengono senza esitazione accantonati. E lo stesso vale al contrario: l’articolo dell’on. Roberti che denunzia la inconsistenza delle accuse al suo collega di partito è del tutto condivisibile, ma facciamo fatica a pensare che ne avremmo letto uno analogo se indagato fosse stato invece un suo antagonista politico.
Sarebbe il caso di riflettere seriamente, da parte di tutti, sui danni che si provocano praticando e predicando, con questa faziosità e con questo doppiopesismo, principi fondamentali di garanzia dei diritti della persona che sono credibili solo se praticati e predicati sempre, senza eccezioni. L’opinione pubblica guarda, ascolta, e ne trae le conseguenze. Non meravigliamoci, poi, se l’oggetto più in voga e di maggiore successo popolare continui ad essere la forca. Ed è sempre bene non dimenticare quello che la storia ci ha immancabilmente insegnato: quando la forca è in piazza, non è difficile, prima o poi, finirci impiccati.
Presidente Unione CamerePenali Italiane
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