Il collaboratore di Giustizia
Antonio Lamorte — 18 Gennaio 2023
Santino Di Matteo rifarebbe tutto, se dovesse tornare indietro tornerebbe a collaborare con la Giustizia. “È stata la scelta giusta: contribuire ad accertare la verità, per ottenere giustizia. Un impegno che ho proseguito sempre. Quando i magistrati mi chiamano nei processi, vado subito”. Anche se Cosa Nostra, per la sua collaborazione, il 23 novembre 1993 rapì il figlio Giuseppe Di Matteo, lo sequestrò per 779 giorni di prigionia, prima di ucciderlo. Aveva solo 14 anni. Uno dei crimini per il quale Matteo Messina Denaro, capo della Mafia dopo l’arresto di Totò Riina, arrestato lunedì scorso presso la clinica La Maddalena di Palermo, fu condannato all’ergastolo.
“Quando ho saputo dell’arresto di Messina Denaro, il primo pensiero è stato per mio figlio Giuseppe. Tutti quelli che hanno avuto a che fare con il sequestro e la sua morte sono finiti in carcere. Mancava solo lui”, ha detto Mario Santo Di Matteo detto Santino in un’intervista a Repubblica. Era accusato di dieci omicidi mafiosi quando venne arrestato il 4 giugno 1993. Da pentito raccontò anche dettagli della strage di Capaci, del 23 maggio 1992, in cui vennero uccisi il giudice Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e la sua scorta. Il rapimento del figlio Giuseppe fu una ritorsione, per spingere il padre a ritrattare il suo racconto.
Il collaboratore Gaspare Spatuzza raccontò che i rapinatori si avvicinarono al ragazzino fingendosi agenti dell’antimafia. Il 12enne fu spostato in diversi nascondigli negli oltre due anni di sequestro, anche in qualche covo di Messina Denaro, già latitante, secondo alcuni testimoni. Santino non ritrattò e Giuseppe Di Matteo fu ucciso dopo la condanna all’ergastolo di Giovanni Brusca: l’11 gennaio 1996 fu strangolato e il suo corpo sciolto in un fusto di acido. Gli esecutori materiali furono Vincenzo Chiodo, Giuseppe Monticciolo e Vincenzo Brusca. Decine le condanne. Dopo l’omicidio Santino Di Matteo fu espulso dal programma di protezione perché era tornato in Sicilia senza dirlo alle autorità.
“Ero tornato solo per cercare mio figlio. Ho sempre chiesto di rientrare nel programma. La giustizia amministrativa ha anche detto che ho diritto a una protezione, perché sono a rischio”. Racconta che oggi lavora in una comunità di accoglienza gestita da un sacerdote che si prende cura di tossicodipendenti, disoccupati, senzatetto e immigrati. Non è per nulla colpito dall’arresto a Palermo. “Da sempre sono convinto che si nascondesse in Sicilia, dove ha goduto di tante protezioni e complicità, vecchie e nuove. Probabilmente, in tutto questo tempo ha messo avanti prestanome e persone sconosciute, mentre lui è rimasto in disparte. Almeno fino a quando ha potuto. Poi ha avuto necessità di cure specialistiche”.
La cattura “è un segnale bellissimo per lo Stato e per tutte le persone oneste. Ha vinto Giuseppe, ma guai ad abbassare la guardia nella lotta alla mafia”. E “magari parlasse, lui ne conosce tanti di segreti. E sono la vera forza dell’organizzazione mafiosa, che non smette di trasformarsi”. Dal collaboratore di Giustizia anche una sorta di consiglio ai mafiosi: “Questa strada vi porterà alla rovina, non l’avete ancora capito?”.
Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
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