Roma, 1 apr – Nella magnifica visione della Divina Commedia il contrappasso altro non sarebbe che il rapporto per cui la pena riproduce sui peccatori – in estensione o per contrasto – i caratteri essenziali della colpa stessa. In questa chiave di lettura dantesca, se siamo oggi praticamente senza attaccanti (di un certo livello) dovremmo cercare ogni responsabilità nel periodo in cui uno dei migliori centravanti della storia del nostro campionato è rimasto sempre ai margini della nazionale. E’ il paradosso di Roberto Pruzzo, storico numero nove della sponda giallorossa del Tevere.

Con la Roma nel destino

Nato il primo aprile 1955 a Crocefieschi – comune della Valle Scrivia – il baffuto centravanti cresce nelle giovanili del Genoa. Diciottenne, esordisce con i grandi. Il primo anno di apprendistato si chiude con la retrocessione, epilogo amaro che però permetterà la sua esplosione nel campionato cadetto. Trenta reti in due stagioni culminate con il ritorno in massima serie dopo un’affollata lotta al vertice combattuta con – in ordine di arrivo dietro al Grifone – Catanzaro, Foggia, Varese e Brescia.

Domenica 3 ottobre 1976, a Genova arriva la Roma e Pruzzo – fresco del titolo di capocannoniere della B – segna il suo primo gol in Serie A. Contro la squadra con cui scriverà bellissime pagine di calcio italiano: per uno strano scherzo del destino bucherà i capitolini anche nell’ultima rete siglata in carriera, questa volta vestendo la maglia della Fiorentina.

Roberto Pruzzo, il bomber

In mezzo ci sono dieci indimenticabili anni di centri al servizio della Magica. Secondo solo a Totti in tal senso, ne contiamo centosei in campionato, venti in Coppa Italia e dodici in Europa. “Lode a te Roberto Pruzzo” cantava la Curva Sud. Una di queste reti continentali – il pareggio al Liverpool nella finale dell’Olimpico – l’avrebbe potuto ricoprire per davvero di gloria eterna. Purtroppo, andò diversamente.

Ultimo giocatore italiano a segnare cinque reti in una sola gara di Serie A – vittima il malcapitato Avellino nel febbraio 1986 – segna la sua rete più bella alla Vecchia Signora. In rovesciata, catapulta umana che vale un insperato pareggio in casa dell’odiata Juventus (1983/84). Non quello maggiormente importante però. In questa particolare classifica rientra invece il punto salvezza siglato nello scontro diretto contro l’Atalanta al primo anno in giallorosso. E, ovviamente, il gol che assegna matematicamente il secondo scudetto romanista. Dove? Casualmente – o forse no – nella “sua” Genova. Quella rossoblu. Una rete dal sapore tricolore davanti alla “grande folla che soffia nel cuore”, mandata in paradiso una mezza dozzina di anni prima con una zuccata ai cugini della Samp. Incornata volante che propiziò proprio la retrocessione dei blucerchiati.

Centravanti di razza

Vince anche quattro volte la Coppa Italia. E si aggiudica in tre occasioni anche la palma di capocannoniere della Serie A. La seconda nell’anno del mondiale spagnolo. Un curriculum vitae che però non permise mai a Pruzzo di far propria la casacca della nazionale: solamente sei le presenze in azzurro. Una ogni trentaquattro reti per intenderci. Come anticipato poche righe sopra, il cerchio si chiude nel 1989, in un caldo pomeriggio di fine giugno. A Perugia, Roma e Fiorentina si giocano l’accesso in Coppa UEFA. O Rey di Crocefieschi ci mette la testa, per l’ultima volta. Questa volta però a esultare è la Fiesole in formato trasferta. Qualcuno se la prenderà per un’esultanza giudicata eccessiva, non capendo la differenza che ci passa tra un semplice attaccante e un centravanti di razza. Ovvero tra chi segna per professione e chi, invece, il gol ce l’ha nel sangue.

Marco Battistini

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