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Ramstein, capitale d'Occidente: verso il summit chiave sll'Ucraina

Oggi nella base tedesca di Ramstein si terrà il summit della coalizione di Paesi guidata dagli Stati Uniti che sostiene l’Ucraina nella sua resistenza all’invasione russa.

Ritorno a Ramstein

La base del Renania-Palatinato, sede di un’installazione strategica della United States Air Force, sarà teatro dell’ottavo meeting dello Ukraine Defense Contact Group, il terzo ad aver sede nell’installazione militare tedesca. Dopo il primo summit di tutti i Paesi pro-Ucraina del 26 aprile 2022 in cui è emerso chiaramente il gruppo di testa dei Paesi desiderosi di sostenere Kiev, i colloqui formato Ramstein hanno avuto luogo in diverse occasioni in via telematica e di nuovo in presenza lo scorso 8 settembre.

Nella prima riunione comune fu in particolare il Regno Unito guidato da Boris Johnson e rappresentato dal Ministro della Difesa Ben Wallace a spingere per fornire ogni tipo di arma difensiva e sostegno di intelligence a Kiev. Strettamente vicina alla linea di Londra anche la Polonia, seguita dai Paesi baltici. Nei mesi al “formato Ramstein” si sono aggiunti Paesi esterni alla Nato. Tra questi il quadrilatero Australia-Nuova Zelanda-Giappone-Corea del Sud, che dal Pacifico supporta Kiev, o Paesi vicini all’Occidente come Israele, Qatar e Marocco. Tutti convinti della bontà della causa ucraina di fronte all’aggressione russa.



Cosa verrà deciso a Ramstein

Il “formato Ramstein” di oggi avrà però un peso decisivo. Non si tratterà più di tamponare l’emergenza dell’aggressione russa. Si tratterà, piuttosto, di dettare i tempi di una linea politica che deve decidere cosa fare dei rapporti tra Occidente e Russia e dei futuri assetti nei confronti della realtà sul campo.

Allora si parlava di missili Javelin anti-carro, oggi si parla dell’invio di carri armati, processo confermato dal Regno Unito, vidimato tra mille difficoltà dalla Germania, appoggiato dalla Francia, sostenuto con entusiasmo dalla Francia. Sarà la prima uscita pubblica del nuovo Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, “sceriffo” pro-Ucraina che però difficilmente potrà modificare la traiettoria di Berlino. Ieri, incontrando l’omologo Usa Lloyd Austin, ha confermato la posizione di Olaf Scholz: sì alla consegna dei carri armati Leopard detenuti da Paesi terzi, ma la Germania vorrebbe inviare i suoi carri armati a condizione che gli americani fossero pronti a fornire gli Abrams a Kiev.

Ai tempi la discussione sull’artiglieria antiaerea era agli inizi, ora l’obiettivo è fornire Patriot americani e il complesso sistema italo-francese Samp-T alle forze ucraine. La linea di Washington della graduale crescita del sostegno militare all’Ucraina prende piede: “La prossima riunione del gruppo di contatto arriva sulla scia dell’annuncio della Casa Bianca di 3 miliardi di dollari in armi e altri aiuti, il più grande pacchetto di assistenza militare statunitense per l’Ucraina fino ad oggi”, nota la testata ufficiale delle forze armate Usa, Stars and Stripes.

Preparare l’Ucraina alla nuova offensiva?

Il tempismo sarà chiave: l’obiettivo è impantanare la Russia in vista di una prevista offensiva primaverile o tardo-invernale che potrebbe portare Mosca a riprendere l’iniziativa. Esclusa la via diplomatica, l’Occidente scommette sulla capacità di resistenza di Kiev e vuole intensificare l’escalation di invio di armi. Chi, come la Francia, in maniera pragmatica per mostrare alla Russia la necessità di un dialogo. Chi in maniera riluttante, come la Germania. Chi, invece, con rinnovato entusiasmo di fronte alla possibilità di aiutare l’Ucraina a menare le mani con l’Orso dell’Est: Londra, Varsavia e alleati nordici in testa.

E poi ci sono Paesi come l’Italia che mirano a giocare un ruolo nel processo ucraino e a promuoversi agli occhi degli Usa mostrandosi in totale continuità con la grande strategia occidentale. Giorgia Meloni, sulla scia di Mario Draghi, ha messo il sostegno all’Ucraina tra le priorità del suo governo e Guido Crosetto, ministro della Difesa del centrodestra di governo, amplia nelle dichiarazioni e nella pratica la linea del predecessore Lorenzo Guerini.

Ramstein, 20 gennaio 2023: in scena oggi andrà l’atlantismo come strategia di sistema contro le ambizioni della Russia e, al contempo, la fine momentanea delle ambizioni europee di un’autonomia militare autonoma. Le danze sono ballate alla musica dettata dall’asse anglosassone Washington-Londra. Ramstein, ha ricordato il giornalista Domenico Quirico su La Stampa, è per Washington “la capitale del nuovo impero d’Occidente” che si percepisce “in guerra contro i barbari dell’Eurasia, l’impero d’Oriente” della Russia e in prospettiva della Cina.

Ramstein come sostituta di Bruxelles, sede formale della Nato, perché “monumentale frammento di Stati Uniti conficcato in territorio europeo”, non sede super partes. Dove non a caso, “con la guerra appena in boccio, il segretario alla Difesa Lloyd Austin chiarì che il conflitto ucraino aveva come scopo l’annientamento della potenza militare russa. La resa senza condizioni dunque, niente di meno”. Una linea che è stata fortemente contestata dall’ex presidente russo Dmitri Medveded, secondo cui l’appuntamento di Ramstein “arriva subito dopo il forum di Davos, dove si è ripetuto “come un mantra” che “per raggiungere la pace, la Russia deve perdere”. “E a nessuno di loro viene mai in mente – prosegue, su Telegram – di trarre da ciò la seguente conclusione elementare: la sconfitta di una potenza nucleare in una guerra convenzionale può provocare lo scoppio di una guerra nucleare“. 

Nonostante le minacce del falco di Mosca, la linea dell’innalzamento dell’asticella del sostegno a Kiev potrebbe essere ribadita oggi. Rilanciando la guerra per procura contrapposta dall’Occidente all’aggressione russa. Avente l’Ucraina oggetto del contendere in un processo di contenimento reciproco che ha il suo apice in un conflitto già foriero di decine di migliaia di morti in questi undici mesi di combattimenti.

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