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Processare l’emergenza: ma l’inchiesta di Bergamo sbaglia mira – Gianluca Spera

La prudenza e l’attitudine garantista suggeriscono sempre di evitare valutazioni trancianti su inchieste e procedimenti penali in corso. Nel caso specifico, la chiusura delle indagini preliminari della Procura di Bergamo con i relativi avvisi notificati pure all’ex premier Giuseppe Conte e all’ex ministro Roberto Speranza non dovrebbe spostare di un millimetro l’analisi politica sulla complessiva gestione pandemica per tutta una serie di ragioni.

In primo luogo, quello che sarà l’esito della vicenda giudiziaria non può certo influenzare il giudizio sul modo in cui si è affrontata l’emergenza sia nella fase inziale sia in quella in cui la stessa emergenza si è trasformata in uno stato di eccezione prolungato per oltre un biennio.

La deriva cinese

Né può essere offuscato l’aspetto più grave di tutta la vicenda: la deriva cinese con cui sono stati messi in sordina i diritti e di fatto soppresse le libertà fondamentali. È questo il vulnus più grave che meriterebbe una verifica rigorosa sulla proporzionalità, l’adeguatezza e l’efficacia delle severe misure imposte agli italiani. Non si può sfuggire a questo nodo gordiano perché da lì partono e si intersecano tutte le criticità dell’era pandemica.

La dottoressa Antonella Viola ha scritto su La Stampa che non si può processare l’emergenza. Invece, è vero esattamente il contrario, nel senso che la tenuta del sistema democratico si misura proprio nei momenti in cui viene sottoposto a un forte stress come durante una situazione emergenziale.

Da questo punto di vista, l’Italia non ha fornito una buona prova sia sul piano sostanziale che su quello formale, perché non solo si è agito in maniera pesante sulle libertà ma lo si è fatto attraverso atti amministrativi, ordinanze regionali o abusando della decretazione d’urgenza.

Peraltro, l’inchiesta di Bergamo riguarda principalmente la mancata attuazione delle zone rosse ad Alzano Lombardo e Nembro. Cioè, per assurdo, si contesta a Conte e Speranza di non aver limitato maggiormente le libertà personali.

Questo atto di accusa è scaturito dalla perizia presentata dal consulente della procura, Andrea Crisanti (ora senatore del Pd), il quale sostiene che l’immediata chiusura di quelle aree avrebbe ridotto considerevolmente il numero dei decessi. Senza considerare l’altro aspetto critico relativo al mancato aggiornamento del piano pandemico.

La narrazione in frantumi

Eppure, nel corso di questi anni, sono emersi diversi studi che hanno messo in dubbio l’utilità delle chiusure e dei ripetuti lockdown. Così come sta vacillando tutta la narrazione pandemica: dall’origine del virus nato probabilmente nel laboratorio di Wuhan fino alla breccia che si sta aprendo nel muro di silenzio che circonda l’argomento tabù degli effetti collaterali dei vaccini.

E senza neppure dimenticare il famoso mantra sul Green Pass che sarebbe stato la garanzia di ritrovarsi in luoghi sicuri e protetti dall’infezione, o tutta la questione della trasparenza nei rapporti tra Commissione europea e case farmaceutiche di cui ci siamo già ampiamente occupati su Atlantico Quotidiano. Insomma, altrove i dogmi sanitari sono messi in discussione mentre in Italia si procede ancora col passo del gambero.

Parola alla difesa

Naturalmente, nelle reazioni dei protagonisti prevale la retorica mentre su alcuni giornali si oscilla tra la minimizzazione e la difesa d’ufficio. L’ex premier Conte ha usato la metafora delle “mani nude” con cui si è affrontata l’epidemia nella prima fase in cui era impreparati.

Speranza, dal canto suo, è stato intervistato, come spesso accade, da La Stampa, a cui ha consegnato tutta la sua amarezza: “Le accuse fanno male, da ministro ho dato tutto”. Un po’ come dicono i calciatori alla fine di una partita di calcio dall’esito nefasto.

In più, ha aggiunto: “La cosa curiosa è che sono finito in altre inchieste per non aver chiuso troppo”. Su questo punto, le sue perplessità sono giustificate perché il centro della questione (tutta politica) è precisamente quello relativo alla legittimità delle norme adottate e alle ricadute che hanno avuto sui diritti dei cittadini.

Conversione al garantismo

Andrebbe pure ricordato all’ex ministro che, lo scorso dicembre, commentando la vicenda giudiziaria in cui è implicato il suo ex compagno di partito Panzeri, aveva liquidato troppo frettolosamente l’approccio garantista che dovrebbe essere uno dei cardini di qualsiasi democrazia liberale. Così come la Costituzione dovrebbe rappresentare il baluardo contro qualsiasi ingerenza del potere nella sfera individuale dei cittadini.

Ora, giustamente, si è lamentato del fatto che i giornalisti siano stati informati prima degli indagati. Si è sempre in tempo per convertirsi al garantismo che rafforza le tutele giuridiche per tutti: dall’imputato eccellente a quello ignoto.

La Commissione d’inchiesta

In definitiva, lo strumento risolutivo per far luce sull’emergenza sanitaria non può che essere la nascente Commissione d’inchiesta parlamentare, avversata dai partiti al governo durante l’emergenza e da alcuni quotidiani poco propensi a fare i conti col passato recente. È stato lo stesso Speranza a definire la commissione “una clava politica, un tribunale incaricato di attaccare gli esponenti dell’opposizione”. 

È vero che l’esperienza delle commissioni d’inchiesta non è sempre stata lusinghiera e proficua. Spesso, sono prevalsi i giochi politici o ci si è infilati in ipotesi fantasmagoriche. Tuttavia, in questo caso, fallire l’obiettivo significherebbe sprecare un’occasione fondamentale per sciogliere tutti quei nodi che riguardano non solo la gestione amministrativa ma soprattutto quella politica.

La sicurezza del potere

Il rischio fondato è che di fronte a qualsiasi altra emergenza, che sia sanitaria o di altro tipo, il potere costituito possa debordare fino a infrangere alcuni principi fondamentali dello Stato moderno. Perciò, scandagliare tutti gli aspetti controversi del triennio, che ci stiamo lasciando faticosamente alle spalle, e affrontare le questioni irrisolte ad ampio raggio significa evitare che, come ammonì saggiamente Leonardo Sciascia, la sicurezza del potere possa fondarsi sull’insicurezza dei cittadini.

Ora è arrivato il momento di illuminare le pagine più buie della nostra storia recente. Ora o mai più, senza lasciare ai posteri l’ardua sentenza.

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