Roma, 16 feb — L’ennesimo caso di infibulazione scoperto nel corso di una visita pediatrica dentro i confini nazionali. Sembra proprio impossibile pretendere che i «nuovi italiani»  rinuncino a usanze barbare e subumane come le mutilazioni degli organi genitali praticate su bambine di pochi anni.

Uno di questi casi, riportato dal Gazzettino, riguarda una bimba nata in provincia di Pordenone da una coppia di genitori provenienti dal Burkina Faso: per loro scatterà il processo che, per essere avviato, ha necessitato del benestare del ministero della Giustizia, in quanto l’infibulazione non sarebbe avvenuta in Italia ma in Burkina Faso. La coppia è stata rinviata a giudizio per le ipotesi di lesioni aggravate in riferimento all’articolo 583 bis, che punisce coloro che, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili. I due rischiano fino a dodici anni di reclusione.

La bimba vittima della mostruosa pratica sarebbe stata «operata» mentre si trovava in viaggio nel Paese d’origine dei genitori. «È stata la nonna, noi non c’entriamo nulla», si sono smarcati i due coniugi nel corso dell’interrogatorio addossando tutta la colpa alla nonna materna, che venti anni prima aveva obbligato la figlia a sottoporsi alla medesima pratica di infibulazione. La mutilazione dei genitali è sicuramente avvenuta prima dell’agosto 2019, quando la bimba, all’età di tre anni, era stata portata in ospedale a San Vito al Tagliamento per una visita pediatrica. Lì i medici avevano scoperto quanto subito dalla bimba e avevano segnalato il caso alla Procura di Pordenone.

Non hanno protetto la bimba

I genitori, come detto, avevano respinto al mittente ogni accusa scaricando la responsabilità sulla nonna, residente in Burkina Faso. Per questo motivo era stata chiesta l’archiviazione del procedimenti. Grazie al gip Giorgio Cozzarini il caso era arrivato in udienza preliminare con un’imputazione coatta: i genitori avevano comunque l’obbligo di proteggere la bimba dai rischi che comportavano un soggiorno nel Paese africano, dove la madre era stata precedentemente infibulata. Ai genitori è stato contestato il concorso nella mutilazione con persone al momento non identificate, con l’aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di un minore e di un loro discendente. Il processo comincerà a maggio.

Cristina Gauri

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