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“Le mie parole in un battito di ciglia”, la storia di Lola D’Arienzo la ballerina immobilizzata dalla Sla – Il Riformista

Venticinque anni fa la diagnosi della malattia che non le ha tolto le ali

Elena Del Mastro — 24 Gennaio 2023

Foto da Il Corriere del Mezzogiorno
Foto da Il Corriere del Mezzogiorno

Da ragazza indossava le punte e volava sul palcoscenico. Aveva anche aperto una sua scuola di danza a cui insegnare il suo dono artistico alle allieve. Poi 25 anni fa la Sla l’ha costretta al letto, immobile. Ma questo non le ha certamente tolto la voglia di vivere e di tenersi attivissima nonostante sia costretta a stare nel suo letto a cava de’Tirreni, provincia di Salerno. Lola da lì ha scritto libri, organizza attività benefiche e si mantiene in contatto con tutti e tutto sebbene la sua malattia le abbia progressivamente bloccato tutti i muscoli e anche la possibilità di parlare e respirare. Ma lei non ha mai smesso di comunicare e lo fa con il suo linguaggio, il battito delle ciglia.

A raccontare questa storia di forza, coraggio e determinazione è il Corriere del Mezzogiorno. Lola ha risposto a tutte le domande del giornalista con il suo linguaggio e tramite la mediazione della sorella di Lola, Maria Rosaria, che ha tradotto ogni “battito” in lettere. Ha raccontato la sua infanzia, il mare di Vietri, la città dove è nata, gli anni all’Università a Sociologia. A 19 anni poi apre la scuola di danza contro il volere di sua madre, poi il matrimonio a 24 anni e la nascita del figlio Vittorio. Una vita vissuta a pieno ritmo rallentata dalla terribile diagnosi della Sla. Le fu anche tolto il figlio quando iniziò a stare male: “Credo che in assoluto quello sia stato il periodo più devastante della mia vita: accanto alle difficoltà fisiche si aggiunse anche il viavai di psicologi, assistenti sociali, avvocati che dichiararono la mia impossibilità di essere ancora una mamma. Pensi che una psicologa del tribunale di Salerno stabilì che non potevo accudire Vittorio perché ero disabile e che sarei morta di lì a poco”. Ma non è andata affatto così: “Se sono ancora qua è proprio grazie a mio figlio. Una volta diventato grande si è riavvicinato a me. Ora si sta laureando in Architettura”.

Racconta che quando le diagnosticarono la Sla non capì subito la gravità della malattia. “Se solo avessi preso coscienza subito delle infauste conseguenze che la Sla arreca, avrei gettato la spugna fin dall’inizio, avrei smesso di lottare – racconta – I miei familiari hanno sempre cercato di tranquillizzarmi, visto che la prognosi dei medici di Napoli era di un paio di anni di vita. Nessuno avrebbe mai pensato, 25 anni fa, che potessi vivere tanto”. Poi la malattia ha lentamente preso il possesso del corpo di Lola impedendole di respirare autonomamente, inghiottire e muoversi da sola.

Il momento più brutto per Lola è stato quando ha subito la tracheotomia nel 2002: “non volevo accettare di essere legata ad una macchina; in ospedale avevo perso la mia umanità. Si parla tanto di umanizzare il percorso dei malati ma si lasciano poi le strutture ospedaliere in condizioni da sembrare dei veri e propri lager”. Lola non si è mai arresa: “Credo che a questa ‘bestia’ di malattia non riesco ancora ad arrendermi, il fatto però di essere nel pieno delle mie facoltà mi ha permesso di scrivere, tornare sul palco del teatro Verdi di Salerno e soprattutto di essere ancora una madre. Pure nella sofferenza c’è una speranza che ti fa risollevare dalla tua condizione, tanto da volare al di là del tuo stesso dolore”.

Anche Lola non può fare a meno di notare quanto in Italia i disabili siano abbandonati a loro stessi.”In questo periodo particolarmente problematico per tutti, i bisogni sono triplicati. La spesa per l’assistenza è diventata insostenibile e noi disabili siamo come puri fantasmi inseriti, nostro malgrado, in una società dove conta più l’apparire che l’essere”, ha detto. Aln giornalista del corriere del mezzogiorno che le chiede se ha paura della morte, risponde: “È quasi un rapporto quotidiano il mio con la morte, perché la mia vita è appesa ai fili degli apparecchi che mi tengono in vita e spesso qualche allarme mi fa sobbalzare. Ho paura del dolore”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

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