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Le indagini sull'esplosione del porto scuotono ancora Beirut

Le indagini per l’esplosione che il 4 agosto 2020 ha coinvolto il porto di Beirut potrebbero essere arrivate a una svolta. Il giudice incaricato dell’inchiesta, Tarek Bitar, ha ufficialmente incriminato 13 persone. Tra queste spiccano l’ex premier Hassan Diab e il procuratore generale Ghassan Oueidat, così come tre magistrati e alcuni ex ministri e funzionari della sicurezza.

Tuttavia il rischio adesso è quello di un nuovo scontro istituzionale. Come del resto prevedibile vista l’importanza dei nomi coinvolti. Lo stesso Oueidat ha infatti reso noto al giudice Bitar che l’indagine da lui curata è considerata sospesa da quasi un anno. E che quindi le convocazioni per gli interrogatori non possono considerarsi valide.

A che punto è l’indagine curata da Tarik Bitar

Era il 4 agosto 2020 quando a Beirut, poco dopo le 18:00, un’esplosione ha devastato sia il porto che gran parte del centro storico della capitale libanese. Le immagini hanno fatto subito il giro del mondo. Una nuvola di fumo ha subito avvolto l’intera area portuale, destando panico tra le persone. Quel giorno la capitale libanese ha contato almeno 215 morti. Una strage che ha in seguito ha creato ulteriori gravi problemi all’intero Paese. L’infrastruttura portuale è diventata infatti in gran parte inutilizzabile, impedendo così a un Libano già finanziariamente al collasso di poter ricevere merci e beni di prima necessità.

Le indagini, affidate al giudice Fadi Sawwan, hanno subito escluso la matrice terroristica. La pista seguita è stata subito quella del tragico incidente. In particolare, l’esplosione sarebbe stata causata da un incendio divampato in un magazzino dove era stoccato dal 2013 del nitrato d’ammonio. Sull’incidente quindi sono subito apparse evidenti le negligenze da parte di chi avrebbe dovuto controllare. E quindi anche degli alti vertici politici libanesi. Per questo Sawwan ha iniziato a interrogare responsabili della sicurezza e membri del governo. Non appena toccati però i piani più alti del potere libanese, il giudice è stato sollevato dall’incarico.

A Sawwan è così subentrato Tarek Bitar. Classe 1974, fama di “incorruttibile”, su di lui l’intero Libano ha riposto molte speranze per accertare la verità. Il sui lavoro ha portato in questi giorni quindi all’accusa contro le 13 persone che a febbraio dovrebbero comparire in tribunale per gli interrogatori. All’ex premier Diab e ai ministri sono state contestate varie negligenze politiche e amministrative. Al procuratore Oueidat invece è stato contestato il fatto di essere al corrente della pericolosità del magazzino esploso già dal 2019.

Le accuse contro il magistrato

Sull’indagine però pende la sospensione decretata circa un anno fa dallo stesso procuratore generale. Molti deputati chiamati a essere interrogati infatti, sul finire del 2021 hanno denunciato Bitar di parzialità e di essere andato troppo oltre rispetto al suo potere. Le denunce hanno portato alla sospensione. Nel frattempo diversi partiti hanno chiesto la rimozione del magistrato. A partire da Hezbollah e da Amal, i due partiti sciiti che nel novembre 2021 sono scesi in piazza contro Bitar. Manifestazioni peraltro che hanno causato la morte di almeno sei persone e gravi accuse reciproche con i miliziani delle Forze Libanesi.

Tra i grandi accusatori del magistrato, c’è Ali Hasan Khalil. Ministro delle Finanze nel momento dell’esplosione del porto ed esponente di Amal, è stata una delle sue denunce a portare alla sospensione del procedimento.

Perché si rischia un nuovo stallo

Nonostante la sospensione però, Tarek Bitar ha continuato con il suo lavoro. Fonti contattate dalla Reuters hanno infatti specificato che il magistrato, forte di un’interpretazione giuridica che contesta le ragioni a monte della sua sospensione, considera ad oggi del tutto valida l’inchiesta. Ghassan Oueidat non è dello stesso avviso ed è per questo adesso che si rischia uno stallo.

Da una parte c’è un magistrato che considera aperta l’inchiesta giudiziaria più importante della storia recente del Libano. Dall’altra invece, c’è il procuratore indagato che ritiene l’indagine ufficialmente sospesa. Nel frattempo, il Libano attende la verità e attende anche la fine dei vari scontri istituzionali che stanno portando verso il baratro il Paese mediorientale.

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