Alleati sì, succubi o/e scemi no. Questo in estrema sintesi il messaggio che Parigi ha lanciato a Washington per bocca del generale Aymeric Bonnemaison, il patron del Comcyber, la struttura per la cyberdifesa francese. Nella audizione a porte chiuse tenuta davanti alla commissione Difesa del parlamento transalpino dello scorso dicembre e resa pubblica questa settimana, il gallonato ufficiale ha espresso tutte le sue perplessità sull’intensissimo lavorio dell’intelligence americana in Europa. A suo avviso gli statunitensi hanno un atteggiamento “relativamente aggressivo” in più paesi e le loro operazioni per contenere, almeno secondo la versione del Pentagono, le cosiddette intrusioni russe “sono discutibili”.
Un linguaggio felpato e prudente che non nasconde una grave preoccupazione. Il generale ha infatti richiamato l’attenzione dei parlamentari sull’invasività “entrista” delle cyber-spie americane negli Stati dell’Est Europa. Con la scusa di “riempiere un vuoto” gli ingombranti alleati d’oltre Oceano si sono impossessati dei dati sensibili delle nazioni ospitanti, impostando una manovra tecnologica “che porta lontano”. Si tratta di “una protezione molto marcata, assolutamente sinergica ai loro interessi politici e diplomatici” ha concluso Bonnemaison.
Per Parigi un campanello d’allarme. Da tempo i vertici delle forze armate ritengono il delicato settore cyber vitale per la sicurezza nazionale (non a caso fissato tra le priorità della nuova programmazione militare gallica) e i vari inquilini dell’Eliseo hanno premuto, magari con toni diversi ma sempre con determinazione, sui partner continentali per un rafforzamento delle capacità di cyberdifesa europee con la creazione di gruppi d’intervento multinazionali, ma Bruxelles ha sempre preferito glissare la spinosa questione e solo lo scorso novembre ha iniziato a discuterne.
Nel frattempo gli Stati Uniti si sono mossi con rapidità e spregiudicatezza. Come pubblicato a fine 2022 dal Pentagono, dal 2018 il Cyber Command ha compiuto più di 30 operazioni in 18 paesi europei. Prima dello scoppio della guerra russo-ucraina sono state approvate e concluse numerose Hunt Forward Operations (operazioni avanzate di caccia) in Estonia, Montenegro, Macedonia del Nord, Lituania, Croazia, il tutto nell’ambito di una strategia “di difesa avanzata e impegno costante” per proteggere le reti americane “operando il più vicino possibile alle attività avversarie”.
L’HFO più importante e massiccia è stata svolta, ovviamente, in Ucraina dove per anni una squadra di specialisti dell’US Navy e della CIA ha lavorato intensamente al fine di blindare le reti di Kiev dai possibili cyber attacchi di Mosca. Sempre secondo i francesi, nella loro attività gli specialisti hanno utilizzato (e continuano a disporre) di un massiccio aiuto tecnologico da parte di Google e Microsoft.
Di certo dall’inizio del conflitto i due titani del web hanno speso somme rilevantissime per sostenere il regime di Zelensky e poche settimane fa il vice presidente di Microsoft Brand Smith ha promesso un “regalo di Natale” di 100 milioni dollari (92 milioni di euro…) motivandolo come una generosa “aggiunta agli aiuti già forniti dalla nostra società che ha già preso in carico i dati sensibili ucraini immagazzinandoli in luoghi sicuri fuori dal paese”.
Prende così forma, accanto allo storico ”ombrello nucleare” statunitense, anche un inedito “ombrello cibernetico” che verrà gestito, sotto la regia del Pentagono, da un pugno di società private per proteggere — controllandone al tempo stesso i segreti più delicati — gli alleati più deboli o meno avvertiti. Una prospettiva che almeno ai francesi non aggrada per nulla. Da qui le loro inquietudini per la loro (e le altre) sovranità e i crescenti sospetti sulle mosse del Cyber Command statunitense nel Vecchio Continente. Insomma, la conferma che si può essere alleati senza rinunciare alla difesa dei propri interessi nazionali.
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