L’attacco con i droni in Iran è solo l’ultimo di una lunga scia di episodi che hanno coinvolto la Repubblica islamica e che sono riconducibili a quella che viene definita la “guerra ombra” con Israele. Da molti anni, i due Paesi, potenze che si contendono l’influenza del Medio Oriente per limitarsi l’un l’altra, agiscono con le loro migliori unità di intelligence per colpire l’avversario nel modo più chirurgico e allo stesso tempo fatale.
Tutto questo con una costante: l’anonimato. Perché qualsiasi tipo di questi attacchi, da quelli diretti contro strutture iraniane o contro uomini di alto profilo del sistema militare iraniano o anche contro luoghi e forze appartenenti alla cosiddetta “Mezzaluna sciita”, non sono mai rivendicati ufficialmente da Israele, né potrebbero esserlo.
Si gioca tutto in una complessa e in parte anche sofisticata messinscena in cui nessuno ammette la propria responsabilità. Si lasciano quindi alle indiscrezioni lasciate trapelare dai vari organi di informazioni, alle indagini, alle inchieste, ma anche alle dichiarazioni di anonimi funzionari le conferme della firma su certi episodi. Oppure, e questo accade più spesso negli ultimi tempi, che certi attacchi seguono dopo mesi o settimane alcune dichiarazioni ufficiali e pubbliche sull’individuazione di un individuo o di un luogo considerati estremamente pericolosi. Questo è avvenuto soprattutto in alcuni “incidenti” avvenuti in Iran, in luoghi che la Difesa israeliana e i governi avevano già ampiamente definito come minacce per la sicurezza dello Stato ebraico.
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La guida degli Usa
In questa lunga scia di attacchi, Israele si muove – o si ritiene si muova – in larga parte in via del tutto autonoma. Tuttavia, è altrettanto evidente che nella rete di alleanze costituta dalle forze della Stella di Davide, quella con gli Stati Uniti resta imprescindibile in questa lunga sfida contro l’Iran degli Ayatollah. Una convergenza di interessi che si basa sul presupposto che entrambi i Paesi non vogliono che Teheran si doti un’arma nucleare o delle possibilità di svilupparne, e che adesso si è arricchita di un ulteriore elemento: l’asse tra Iran e Russia per la fabbricazione e la vendita di droni e missili impiegati poi dalle forze di Mosca nella guerra in Ucraina.
Questa unità di intenti tra le intelligence Usa e israeliana potrebbe essersi rivelata fondamentale nell’ultimo attacco che ha colpito il sito iraniano di Isfahan. Come detto in precedenza, vale per quest’ultimo episodio quello che si è accennato per gli altri misteriosi avvenimenti che riguardano l’Iran, e cioè l’assenza di un responsabile verificato. In questo caso però, esistono alcuni fattori che giocano in favore di questa possibile interpretazione.
Innanzitutto l’importanza del luogo colpito, che riguarderebbe quei droni considerati un tema di primaria importanza per gli Stati Uniti nella strategia di difesa dell’Ucraina. In secondo luogo, per il modo in cui è avvenuto l’attacco e anche per la letalità del raid, che sembra potere avere avuto un contributo quantomeno da parte dei servizi Usa. Inoltre, non va sottovalutato che Al Arabiya abbia parlato apertamente degli Usa coinvolti nell’attacco insieme a Israele e a “un altro Paese”: un’indiscrezione che in questi ambienti può suonare come una sorta di ammissione. Sulla stessa lunghezza d’onda quello che ha fatto filtrare il Wall Street Journal subito dopo l’attacco, e cioè che il raid sarebbe stato realizzato dallo Stato ebraico con l’utilizzo dei droni “mentre gli Stati Uniti e Israele stesso cercano nuovi modi per contenere le ambizioni nucleari e militari di Teheran”.
Infine, le tempistiche. L’attacco è avvenuto sostanzialmente in concomitanza con il tour del segretario di Stato statunitense Antony Blinken in Medio Oriente. La scorsa settimana, a Tel Aviv, il capo della Cia William Burns ha incontrato a sorpresa il vertice del Mossad, David Barnea. E negli stessi giorni, le Forze di difesa israeliane (Idf) si esercitavano insieme al comando centrale degli Stati Uniti sul territorio israeliano e nel Mediterraneo orientale nelle manovre “Juniper Oak 2023”. Le esercitazioni, come comunicato dalla stessa parte americana, hanno visto l’impiego di 12 navi e più di un centinaio di aerei, tra i quali anche B-52 ed F-35.
La collaborazione tra Usa e Israele
Non è del resto una novità che i due Paesi collaborino in quello che lo stesso Wsj ha definito in questo momento il “contenimento” della minaccia iraniana. La sinergia tra Israele e Stati Uniti nei riguardi dell’Iran si è rafforzata ed è andata crescendo nel momento in cui Teheran ha iniziato a pianificare il proprio programma nucleare. Già durante l’amministrazione di Barack Obama un articolo del New York Times riferiva che Israele e Stati Uniti avessero collaborato nella creazione del virus Stuxnet con un’operazione, “Olympic Games”, iniziata già con George W. Bush. Obiettivo del virus era l’attacco ai programmi che gestivano le centrifughe del sito nucleare di Natanz.
Nel tempo, specialmente con la guerra in Siria e la nascita del sedicente Stato Islamico, i due Stati hanno collaborato nel campo dell’intelligence sia per quanto riguarda la minaccia del terrorismo e l’avanzata del Califfato, sia per quanto concerne il controllo e i raid contro le milizie legate all’Iran e i convogli di armi che hanno sostenuto il piano del generale Qassem Soleimani e le forze dell’esercito siriano.
Quando la base di Al Tanf è stata attaccata da droni suicidi di matrice iraniana, il New York Times aveva detto che l’intelligence israeliana aveva avvertito del rischio di un attacco permettendo così ai militari Usa di abbandonarla prima del raid. Proprio in riferimento al generale Soleimani, inoltre, funzionari israeliani confermarono che dietro l’uccisione del più importante uomo dell’Iran al di fuori dei confini nazionali vi fosse proprio il Mossad, che fornì i dettagli per far sì che le forze Usa colpissero il convoglio a Baghdad.
Guido Olimpio, sul Corriere della Sera, ricorda inoltre che di recente “un alto esponente di al Qaeda è stato fatto fuori da un’azione combinata: la Cia ha trovato le ‘coordinate’, gli israeliani lo hanno assassinato insieme alla figlia in una via della capitale”. Una collaborazione costante, dunque, anche se non necessariamente continua, dal momento che le due intelligence attuano agende non per forza aderenti.
Washington ha sempre cercato di frenare alcune mosse ritenute azzardate o foriere di potenziali escalation, anche nei confronti dell’Iran. Tuttavia, quando la questione diventava fondamentale anche per gli Usa, le agenzie sapevano di poter contare l’una sull’altra. Come adesso, in una fase in cui i negoziati sul programma atomico dell’Iran sono totalmente paralizzate e in cui Teheran appare sempre più unita a Mosca (e a Pechino).
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