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L’arresto di Messina Denaro non diventi un alibi per mantenere lo status quo – Lorenzo Gioli

Con l’arresto di Matteo Messina Denaro, mandante degli omicidi di Falcone e Borsellino insieme a Totò Riina nonché latitante da almeno trent’anni, si chiude fortunatamente un’epoca: l’epoca della mafia stragista che il nostro Paese ha imparato a conoscere soprattutto negli anni Novanta.

L’orrore

La mafia che impone le sue regole con la forza, che ricorre alla violenza per reprimere il dissenso, che risponde in modo brutale ai tradimenti, ripagando i collaboratori di giustizia con la stessa moneta e talvolta anche con qualcosa in più: il giovane Giuseppe venne sequestrato e sciolto nell’acido a 15 anni da compiere con la sola colpa di essere il figlio del boss pentito Di Matteo.

Quel crimine impresse un cambiamento nella nostra percezione dell’orrore, mostrandoci delinquenti che inchiodano le loro vittime (innocenti) alle presunte colpe dei padri. Giovanni Brusca, autore materiale del delitto, afferma oggi di essere pentito per l’omicidio del ragazzino e per gli altri assassinii – circa un centinaio – di cui si è reso responsabile nella sua lunga carriera di gangster (a differenza di alcuni, secondo i quali non è mai troppo tardi per pentirsi, ci permettiamo di nutrire più di una perplessità riguardo alla sua redenzione).

I professionisti dell’antimafia

Eppure, auspichiamo che oltre alla mafia anche certa antimafia sia prossima all’estinzione. Sarebbe da sciocchi negarlo: per anni giornalisti, intellettuali e talvolta anche parlamentari hanno dato adito – non sempre in buona fede – a ricostruzioni fantasiose e complottismi di varia natura, che tuttora trovano ospitalità sulle prime pagine dei giornali e in alcuni salotti televisivi, ammantati di un’ingiustificata autorevolezza.

Così come sarebbe da sciocchi negare la demonizzazione di cui sono stati oggetto alcuni partiti, in particolar modo Forza Italia, accusati ingiustamente di accondiscendenza quando non di connivenza vera e propria con la criminalità organizzata (le mele marce possono nascondersi in ogni partito, tanto più se al potere, ma da qui a parlare di collusione sistemica passa un oceano).

Lo spirito legalitario della destra

Chiariamolo a scanso di equivoci: non è merito del presidente del Consiglio in carica se un boss o un criminale comune viene arrestato. Le indagini e i pedinamenti spettano alla magistratura e alle forze dell’ordine che, a larghissima maggioranza, svolgono nel nostro Paese un lavoro straordinario.

Tuttavia, è curioso notare come Bernardo Provenzano, consegnato alla giustizia nel 2006, e lo stesso Messina Denaro siano stati entrambi arrestati con un leader di destra (o centrodestra) al governo: prima Silvio Berlusconi ed oggi Giorgia Meloni.

Per chi non lo sapesse, fu l’indignazione suscitata dalla strage di Capaci che spinse l’attuale presidente di Fratelli d’Italia a prendere la tessera del MSI.

L’intransigenza e lo spirito legalitario, che sempre sono appartenuti al patrimonio di valori della destra italiana, assumendo talvolta venature giustizialiste, hanno spinto l’attuale maggioranza a difendere l’ergastolo ostativo, a cui numerosi giuristi rivolgono accuse – non del tutto infondate – di incostituzionalità.

Il dibattito sulle intercettazioni

L’arresto di Matteo Messina Denaro ha risvegliato anche il dibattito sulle intercettazioni, già avviato qualche settimana fa dal ministro Carlo Nordio in Commissione Giustizia del Senato: “Proporremo una profonda revisione (delle intercettazioni, ndr) e vigileremo in modo rigoroso su ogni diffusione che sia arbitraria e impropria”.

L’obiezione di alcuni è: senza intercettazioni non avremmo potuto arrestare Messina Denaro e con lui molti altri boss mafiosi. Vero. Ma in discussione non sono le intercettazioni per reati di mafia e terrorismo, bensì quelle per reati minori e corruzione che spesso vengono divulgate in modo strumentale dai media.

Su questo aspetto, Nordio ha ragione da vendere: attraverso una “diffusione selezionata e pilotata”, le intercettazioni sono diventate “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”. Quante volte, sui giornali, sono stati pubblicati particolari riguardanti la vita dell’imputato che nulla avevano a che fare con l’indagine e dunque con il diritto del lettore a informarsi?

Cosa Nostra è finita

Come ha spiegato il generale Mario Mori in una bella intervista a Raffaele Marmo sul Quotidiano Nazionale del 17 gennaio, “Cosa Nostra, per come l’abbiamo vissuta e combattuta, è finita”. E ancora: “Non c’è più in Sicilia un tessuto connettivo che colleghi più famiglie, più realtà. Ci sono elementi mafiosi, come modo di pensare e di agire. Ma non c’è più quella struttura”.

Niente alibi

A differenza dei crimini di mafia, gli abusi connessi all’utilizzo delle intercettazioni sono all’ordine del giorno. Di questo dato pressoché inconfutabile Giorgia Meloni dovrebbe tenere conto: il (sacrosanto) diritto delle vittime ad avere giustizia non può compromettere il diritto degli altri cittadini alla riservatezza, se non entro certi limiti.

L’arresto di Matteo Messina Denaro è un’ottima notizia, ma non può diventare un alibi per mantenere lo status quo.

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