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La resurrezione del Monte dei Paschi: ma quanto l’abbiamo pagata? – Nicolò Bertoncello

È di questi giorni la notizia che Moody’s, nota agenzia americana di rating, ha alzato i giudizi sul Monte dei Paschi di Siena, apprezzando i conti del 2022 recentemente pubblicati dalla banca.

I ricavi hanno infatti superato i 3 miliardi di euro e i 204 milioni di perdita sono dovuti agli oltre 900 (cosa??) di costi per ristrutturazione, legati al piano di esodo incentivati, senza i quali l’esercizio avrebbe generato un utile superiore ai 700 milioni.

L’ultimo aumento di capitale di ben 2 miliardi e mezzo di euro, secondo gli analisti dell’agenzia, ha consolidato la solvibilità della banca e l’ha resa nuovamente in grado di generare redditività. Le previsioni suggeriscono la possibilità di raggiungere in anticipo, già entro quest’anno, i target di utile prefissati per il 2024.

Quanto ci è costato

La banca più antica del mondo, apparentemente, si trova agli inizi di quella resurrezione che è attesa da più di dieci anni perché pesata – e non poco – sulle tasche degli italiani.

Solo a novembre dello scorso anno, con l’ultimo aumento di capitale, lo Stato ha dovuto staccare un assegno di oltre 1,6 miliardi: tutto denaro sottratto ai contribuenti.

Ma l’ultimo decennio di MPS è stato uno dei, se non il più impattante sui conti pubblici: considerate le iniezioni di contributi pubblici in situazioni emergenziali e gli aumenti di capitale (polverizzati), si stima un costo per lo Stato superiore ai 30 miliardi di euro.

Per citare uno dei tanti interventi, possiamo ricordare quando nel 2017 il governo Gentiloni ha rilevato il 68.24 per cento di MPS pagando le azioni 7 euro l’una. In totale la spesa fu di 5,4 miliardi, mentre oggi le stesse azioni valgono appena 2,47 euro l’una. Una perdita di 90 euro per ogni cittadino, senza considerare tutte le altre somme che i vari governi hanno destinato al Monte.

Ora privatizzare

La domanda che viene spontanea è se ne sia valsa la pena, in fondo si trattava comunque del sesto gruppo bancario italiano. Qualunque sia la risposta, la speranza è che il governo Meloni ne concluda la privatizzazione, prima che l’istituto bancario ricorra a nuovi e onerosi aumenti di capitale a spese dei contribuenti.

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