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La mossa russa sul New Start e il nuovo mondo globale

La politica è una di quelle realtà in cui si parla attraverso comunicazione non verbale, date, messaggi subliminali, non detti e simboli. Set e messinscena parlano all’unisono, ciascuno con un proprio vocabolario e a differenti interlocutori. Il copione è miele da degustare per chi non ha occhi in grado di leggere tra le righe, dimentico del fatto che il Diavolo si nasconde nei dettagli.

Gli amanti della comunicazione simbolica trascorrono più tempo a limare i diabolici dettagli che a studiare il copione da recitare. Nella consapevolezza che date, segni e luoghi contino più di apparenze e spettacoli di luci. Nella certezza che chi ha orecchie per intendere ascolterà ciò che dice il silenzio.

Simboli, il mezzo di comunicazione preferito dagli scenografi. E di simboli è stata costellato l’ultimo periodo, già entrato nella storia, scelto dal Cremlino per seppellire i rimasugli di un’epoca vicina eppure lontana, quella del “Riavvio”, sulla quale Vladimir Putin ha lanciato l’anatema della memoria.

La sepoltura del New Start

L’attesa per il Discorso alla nazione di Putin era tanta. La stampa russa e gli addetti alle relazioni pubbliche del Cremlino, da Dmitrij Peskov a Maria Zakharova, avevano alimentato la suspense e creato aspettative presso gli spettatori domestici ed esteri. Tutti gli occhi del mondo avrebbero dovuto essere su Mosca il 21.2.23, anziché sul palcoscenico di Varsavia protagonizzato da Joe Biden, e così è stato.

Nulla è stato lasciato al caso il 21.2.23, neanche la stessa data, a riprova dell’importanza dei simboli nel mondo della politica. Data coincidente col primo anniversario del Discorso sugli eventi riguardanti l’Ucraina, apripista ufficiale della cosiddetta operazione militare speciale, e successiva alla visita a sorpresa (ma non per Mosca) di Biden a Kiev – che andava adombrata.

L’analisi occidentale credeva che sarebbe stata l’ennesima replica dei sermoni motivazionali per il pubblico russo, da spronare alla mobilitazione e da incitare all’adozione di una mentalità di guerra, ma si è trovata dinanzi ad una filippica storica. Pietra tombale di un’epoca che, almeno fino a quando Putin e apostoli saranno al potere, non tornerà più: il Riavvio.

Non è un paese per Eltsin

Sospendendo l’adesione di Mosca al New START, in concomitanza con l’abrogazione in sordina dell’Ordine esecutivo presidenziale 605/2012 – prodromica a strette intelligenti sulle (ex) sorelle sovietiche più sfuggenti, all’allontanamento dall’occidentaleggiante “ordine mondiale basato sulle regole” e al rafforzamento del Pivot to the Global South –, Putin ha provveduto a seppellire definitivamente il Riavvio, entrato in coma nel 2014 e morto nel 2022.

Il congelamento del New START e l’invalidazione dell’Ordine 605/2012 mandano in soffitta i sogni e le speranze di una “pace” resporata all’inizio del nuovo scecolo, versione contemporanea della guerrafreddesca distensione, sancendo l’ingresso del paragrafo russo-americano della competizione tra grandi potenze in un nuovo reame. Il cui firmamento sarà costellato da imprevedibilità, instabilità e intransigenza, e nel quale non troveranno spazio gli Eltsin, ma domineranno i Primakov. BRICS, G20, UEE, OCS et similia preferiti a UE, G7 e parenti. Strateghi ibridi anziché diplomatici a negoziare lo status dei territori contesi.

Il discorso del 21.2.23 è un manifesto contro il Momento unipolare rivolto all’intera comunità internazionale, le cui potenze emergenti la Russia vorrebbe portare nel fronte della Transizione multipolare e i cui popoli più insofferenti all’egemonia occidentale va corteggiando con la chimera di un mondo più giusto, o, se non altro, meno ipocrita.

Il discorso del 21.2.23 è l’ultimo arrivato nella famiglia di catilinarie antiamericane nata nel lontano 2007, con il celeberrimo monologo alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, e con la fissazione per gli eventi del fatidico 1999. Perciò i riferimenti alla doppia morale dell’Occidente – che “ha speso 150 miliardi di dollari nella guerra [in Ucraina], dando [soltanto] 60 miliardi di dollari ai paesi più poveri nel 2020-21”. Perciò i riferimenti ai cambi di regime in Iraq e Libia, al quasi milione di morti della Guerra al Terrore. Perciò il focus sulle degenerazioni del liberal-progressismo, tema molto sentito nei luoghi più conservatori e tradizionalisti del pianeta, i cui passaggi sono stati – non a caso – tra i più commentati e ricondivisi nell’islamosfera.

Nulla sarà più come prima

Dal palcoscenico della diva e rediviva Varsavia, il fu Cristo d’Europa che, ora risorto, servirà scopi e rivestirà ruoli di responsabilità crescente negli anni a venire – bilanciere della Germania, contenitore della Russia e feudatario dell’area Baltici-Ucraina –, Biden ha espresso degli importanti giuramenti nell’arco del primo anno di guerra: che Putin dovrà cadere, datato 26.3.22, e che l’Ucraina “non sarà una vittoria della Russia”, datato 21.2.23.

Putin, dalle ribalte di Mosca e San Pietroburgo, durante il primo anno di guerra, ha provato a costruire una coalizione contro il Momento unipolare. L’Ucraina come zeitenwende da cavalcare per accelerare la Transizione multipolare, la sola speranza per un mondo senza poliziotti globali. La Russia come catéchon che ieri ha combattuto per la decolonizzazione fisica del Sud globale dall’Occidente e che oggi può e vuole guidare la decolonizzazione ideologica del Sud globale dallo stesso, ponendosi a capo dell’Internazionale conservatrice e alleandosi con le religioni abramitiche (e non solo).

Il primo tempo del paragrafo russo-americano della Terza guerra mondiale in frammenti è stato vinto dagli Stati Uniti nella misura in cui hanno risvegliato l’Alleanza Atlantica dalla morte cerebrale, “natizzato i finlandesi” – ovvero: fine delle neutralità intra-blocco occidentale –, approfondito il disaccoppiamento UE-Russia e piantato semi della zizzania lungo suburbi russi e spazio postsovietico. Risultati conseguiti trasformando un conflitto pensato per ricalcare l’invasione-lampo della Georgia in un remake dell’operazione Ciclone.

Il secondo tempo del paragrafo russo-americano della Terza guerra mondiale in frammenti, separato ma connesso a quello sino-americano, è ancora da scrivere. Vedrà gli Stati Uniti impegnati nella raccolta di ciò che è stato seminato negli anni del Bidenworld, la Russia alle prese coi ritorni di fiamma dell’operazione militare speciale e il resto del mondo in cammino verso il bivio della storia. Sarà il momento delle battaglie tra il dollaro e i suoi sfidanti, tra l’Occidente e possibili coalizioni antiegemoniche, delle guerre per procura che scioglieranno i nodi irrisolti del Novecento.

Il primo tempo della battaglia tra le forze del Momento unipolare e gli sfidanti della Transizione multipolare sta volgendo al termine, vinto dalle prime grazie a una strategia di gioco centrata su calcolo e coordinamento. Il secondo inizierà a breve e già premette e promette la proliferazione di scenari da hic sunt leones, mali liberati da Putin al momento dell’apertura dello scrigno di Pandora del XXI secolo: l’Ucraina. Nulla sarà più come prima e, in fondo, alle grandi potenze va bene così: lo zugzwang di Putin avvicinerà il redde rationem, il cui esito determinerà la firma di nuovi START.

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