Il 2023 sarà un anno segnato dall’insicurezza alimentare per l’Africa, in particolare il Maghreb e il Sahel. Il combinato disposto tra l’aumento dei prezzi del grano, la persistente crisi climatica e ambientale della regione e le minacce di nuove interruzioni delle forniture alimentari da Paesi come Russia e Ucraina tiene nella morsa dell’incertezza milioni di africani. A cui nel 2022 si sono aggiunti casi estremi come lo sdoganamento di un anno di siccità nel Corno d’Africa, le continue invasioni di locuste che distruggono i raccolti tra Somalia e Kenya, le temibili guerre civili nella regione.
L’Africa, ricorda Voice of America, prima della guerra importava “30 milioni di tonnellate di cibo dalle nazioni ora in guerra di Russia e Ucraina, e i prezzi dell’energia, dei fertilizzanti e dei prodotti alimentari sono aumentati dal 40 al 300 per cento” Per diventare autosufficienti, ha detto il presidente nigeriano Muhammadu Buhari, “le nazioni africane devono aumentare i finanziamenti per le iniziative agricole e le infrastrutture rurali”. Ma le sfide da vincere sono enormi.
La Croce Rossa Britannica stima in 146 milioni di persone gli abitanti dei Paesi africani braccati dalla morsa della carestia. “La crisi alimentare in Africa è un problema globale” ammoniva l’allora presidente della filiale italiana Francesco Rocca parlando all’Unione Africana dei rischi sistemici dettati proprio da questa diffusa instabilità nell’ottobre scorso. Il World Food Program stima che 12,7 milioni sono solo in tre Stati: Niger, Burkina Faso e Mali, centrali della tensione e veri e propri “buchi neri” del Sahel. In cui l’incertezza alimentare apre spazio al radicalismo, alla divisone delle comunità, alle persecuzioni di chi, come sempre di più accade ai cristiani, è visto come “capro espiatorio” per le fragilità sociali. 22 milioni sono assediati dalla siccità nel Corno d’Africa.
Formiche sottolinea che “secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, Fao, nel 2022 i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale sono aumentati del 14,3% rispetto al 2021, segnando l’incremento più alto mai registrato dal 1990”, anno seguito alla fine della Guerra Fredda e fonte di tensione sulle commodities globali.
In diversi Paesi, nel Maghreb, le conseguenze della crisi alimentare stanno già apparendo in tutta la loro gravità. Pensiamo all’esempio, lampante e problematico, dell’Egitto, travolto dall’inflazione alimentare e dall’insicurezza sociale. O al perenne, persistente stato di precarietà della Tunisia. Per fare un esempio, la quota di cittadini con insicurezza alimentare cronica in Egitto è al 27% della popolazione, superiore addirittura al 22% dell’Ucraina sotto attacco russo. Nei Paesi del cuore del continente si è stabilmente oltre il 50%, compresa la Nigeria, Paese più popoloso d’Africa, e il buco nero della Repubblica Democratica del Congo.
Il problema è trasversale e comune a molte nazioni. E si risolve nella strutturale e dinamica dipendenza del continente africano da catene del valore e forniture esterne. Che rende l’Africa la vittima sacrificale delle tensioni geopolitiche ed economiche globali e, al tempo stesso, terra di conquista. Perché l’insicurezza alimentare è trasformabile dalle potenze che si offrono di risolverla o di ridurla di intensità un asset per inserirsi nelle dinamiche economiche e nelle logiche di potere dei Paesi dell’area. Le mosse della Turchia, grande mediatrice degli accordi sul grano, hanno una valenza anche riguardante la volontà di inserimento in Africa. Continente che è trincea di scontro tra le grandi potenze e oggetto di mire strategiche a tutto campo. Spesso alimentate sulla pelle dei cittadini di un’Africa che fatica ancora a rompere tutte le catene del sottosviluppo.
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