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La guerra in Ucraina e la partita italiana nella Nato

Con l’attacco della Russia all’Ucraina, la Nato ha ricevuto un impulso non indifferente per quanto concerne la sua importanza nel quadro di sicurezza europeo ma anche la sua proiezione strategica. Il fronte orientale è diventato in modo inequivocabile come il vero baricentro delle azioni Nato. E il possibile ampliamento dell’Alleanza a Finlandia e Svezia ha acceso i riflettori anche sul fronte del Baltico e dell’Alto Nord, sottolineando quindi una complesso politico-militare che, almeno al momento, appare incentrato verso nord-est.

Le sfide dell’Italia nella Nato

L’Italia, da sempre in prima linea nelle varie missioni Nato in Europa, Iraq e Mediterraneo, si trova quindi al momento coinvolta in quella che è una duplice sfida. Da una parte sottolineare la propria fedeltà alla linea euro-atlantica dopo un periodo in cui è apparsa tentennante nei rapporti con i due grandi avversari Nato: Cina e Russia. Dall’altra parte, far sì che la naturale attenzione di Bruxelles e Washington verso est non faccia perdere di vista l’importanza del fronte meridionale, che per l’agenda di Roma rappresenta una questione di natura essenziale. Se non esistenziale.

Sotto il primo aspetto, l’Italia, sin dall’inizio della guerra in Ucraina, ha impostato una rotta profondamente ancorata alle linee euro-atlantiche. I governi di Mario Draghi prima e di Giorgia Meloni poi hanno dimostrato una netta continuità strategica e diplomatica, confermando la presa di posizione a favore di Kiev e di condanna a Mosca, ma anche stabilendo pacchetti di aiuti militari in linea con la maggior parte degli alleati e le richieste di Usa e Nato.

Per il Belpaese si tratta di prove di sinergia da non sottovalutare, specialmente perché negli esecutivi precedenti vi erano stati molteplici avvertimenti di Washington su alcune mosse diplomatiche ritenute estranee alla fedeltà atlantica. Inoltre, il tradizionale e profondo legame economico (e non solo) tra Mosca e Roma, specialmente sul fronte del gas, era visto con sospetto da molti apparati d’Oltreoceano ed europei che vedevano nell’Italia una sorta di punto interrogativo europeo al pari della Germania, ritenute troppo divergenti sul rispetto della linea dell’intransigenza verso la Russia. E questo era stato percepito non solo da Washington, ma anche dalle varie cancellerie dell’Europa orientale, che hanno spesso evidenziato difficoltà nella convivenza tra le strategie di alcuni Paesi dell’Europa centrale e meridionale rispetto alle esigenze di chi vive fronte est dell’Alleanza Atlantica.

L’Italia e le missioni dell’Alleanza atlantica

Questa impostazione strategica italiana è andata in ogni caso sempre parallela a una piena fedeltà e a un continuo ed efficiente coinvolgimento in tutte le missioni Nato, in cui Roma, come detto in precedenza, non ha mai fatto mancare il proprio sostegno. Anzi, la partecipazione attiva e fondamentale dei militari italiani nelle più importanti operazioni euro-atlantiche è sempre stata la più chiara certificazione del peso e della piena adesione della nazione al sistema politico-militare occidentale. E questo si è visto non solo in precedenza nelle varie missioni Nato (tra cui l’Afghanistan), ma anche ora nei Balcani, in particolare in Kosovo, in Iraq, nel Mediterraneo, in Lettonia, e nelle varie missioni di air policing in Europa orientale. Operazioni cui si devono naturalmente unire quelle sotto il cappello Onu e Ue pur sempre legate al sistema occidentale.

Se questa è la premessa, va anche detto che l’Italia, come sottolineato in precedenza, si è spesso trovata a dover districarsi fra il proprio interesse e quello di altri Paesi Nato che, nel corso degli anni, hanno spesso dimostrato di potere spostare il baricentro dell’Alleanza verso est dimenticandosi delle conflittualità e delle instabilità del fronte meridionale, in particolare quello africano. Sul punto, è importante sottolineare che la posizione dell’Italia è sempre stata quella di ribadire che per Bruxelles e Washington quanto accade a sud delle frontiere euro-atlantiche non è meno importante e urgente di quanto accade a oriente, soprattutto perché i fattori di insicurezza molto spesso convergono. Roma ha più volte sostenuto, in diversi summit atlantici, la necessità di far sì che le forze dell’Alleanza fossero anche in grado di sostenere la sicurezza del lato meridionale del blocco, e se questo risulta chiaro anche dalle responsabilità di Roma su questo fronte (basti pensare al Kosovo e al comando della missione in Iraq), va altresì detto che molto spesso l’attenzione di Bruxelles è stata minima rispetto alle richieste.

Il nuovo baricentro della nato dopo la guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina – spostando di nuovo il focus dell’Alleanza a est e a nord-est – sembra avere nuovamente messo a repentaglio il piano italiano. Tuttavia, in questo anno di conflitto è altrettanto evidente che l’aumento del protagonismo e dell’impegno in questo frangente può essere per l’Italia una carta da giocare nel futuro riequilibrio del blocco. Il summit di Madrid ha confermato che la Nato, pur ritenendo la Russia la “minaccia più diretta e più significativa” alla sicurezza degli alleati e inserendo la Cina come rivale, ha dato risalto alla situazione del fianco sud facendo riferimento ad Africa e Medio Oriente.

Al punto 11 del nuovo Concetto Strategico si legge infatti che “i conflitti, la fragilità e l’instabilità in Africa e nel Medio Oriente incidono direttamente sulla nostra sicurezza e su quella dei nostri partner”. Inoltre, si fa riferimento ai vicini meridionali della Nato che devono “affrontare sfide interconnesse in materia di sicurezza, demografiche, economiche e politiche” in una situazione che “offre un terreno fertile per la proliferazione di gruppi armati non statali, comprese le organizzazioni terroristiche. Consente inoltre interferenze destabilizzanti e coercitive da parte di concorrenti strategici”. L’Italia ha interesse affinché questo punto del nuovo “programma” Nato si concretizzi nel prossimo futuro.

In tutto questo, pesa anche la scelta del futuro segretario generale dell’Alleanza. Jens Stoltenberg ha confermato che lascerà l’incarico in autunno e non intende prorogare ulteriormente il mandato. La partita è aperta ed è chiaro che quella che si gioca in Ucraina è anche una sfida politica su chi ha la capacità di imporre una propria guida al blocco euro-atlantico. Nei mesi scorsi si era parlato dell’ipotesi di Draghi alla guida della Nato, visto anche il favore di cui gode Oltreoceano. Per Roma sarà un banco di prova non indifferente.

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