Giorgia Meloni arriva ad Algeri e lancia la visione di un’Italia hub euromediterraneo del gas a pochi giorni di distanza dalla fine della triplice puntata di Antonio Tajani tra Turchia, Tunisia (in questo caso con Matteo Piantedosi) e Egitto che ha visto il Ministro degli Esteri italiano dialogare a tutto campo coi partner dell’Italia.
L’Italia e la grande strategia “africana”
Sono queste le immagini di un attivismo diplomatico a tutto campo che vede Roma coinvolta pienamente nello scacchiere mediterraneo e guardare all’Africa e al Mediterraneo orientale come scenari decisivi per la sua politica estera.
Il governo Meloni sembra ereditare da quello di Mario Draghi la percezione dell’agone del Grande Mare come un’appendice strategica decisiva del campo atlantico in cui molte strategie sono delegate all’Italia. E aggiungere a questa prospettiva l’idea di un rinnovato protagonismo.
L’Italia sembra aver ritrovato una dimensione strategica, come nota Formiche, presentando “una volontà spinta dall’interesse nazionale che ha ragioni sia politiche che economico-commerciali — come dimostra la presenza insieme a Meloni, oggi ad Algeri, del presidente di Confindustria Carlo Bonomi e il Ceo di Eni, Claudio Descalzi“.
La dottrina Descalzi: l’energia perno del rapporto Italia-Africa
L’ad del Cane a sei zampe è stato, a cavallo tra l’era Draghi e l’era Meloni, “pontiere” della nuova strategia africana dell’Italia.
Descalzi, tra i manager preferiti da Meloni e favorito per sorpassare Enrico Mattei e divenire il primo ad di Eni in carica per più di nove anni se sarà confermato in primavera, ha dichiarato entusiasta di ritenere centrale Algeri: “Bisogna pensare che solo due anni fa l’Algeria dava all’Italia circa 21 miliardi – ha dichiarato ai giornalisti il numero uno dell’azienda – adesso ne ha dati 25, arriveremo a 28 miliardi l’anno prossimo e poi nel 2024-25 supereremo ancora” questa quota. Per fare un paragone, prima della guerra russo-ucraina Mosca dava a Roma 33 miliardi di metri cubi l’anno.
L’Eni “africana” di Descalzi si muove tra Algeria, Libia, Congo, Mozambico, Angola. E si proietta, assieme all’industria energetica italiana, nel cuore del continente oltre il Grande Mare.
Il ponte Italia-Africa via Algeria
Roma è e deve continuare a essere ponte diplomatico e politico, valorizzando il proprio interesse: trasformarsi, cioè, in centrale di mediazione strategica per le grandi questioni che riguardano il Grande Mare. La mossa ad Algeri lo testimonia. “Abbiamo bisogno il più possibile di affrontare una situazione geopolitica difficile costruendo il più possibile ponti” e quello tra Italia e Algeri “è uno straordinario ponte che può tornare utile all’Europa intera per l’approvvigionamento” energetico, ha detto il presidente del Consiglio nelle dichiarazioni alla stampa ad Algeri insieme al presidente della Repubblica Abdelmadjid Tebboune.
Meloni va a costruire ponti con il nuovo, principale fornitore di gas naturale (assieme alla Norvegia), ma non manca di creare relazioni vincenti col suo rivale strategico, il Marocco. L’Italia vive il Mediterraneo come sistema allargato: e così Tajani dialoga con Abd Fatah Al Sisi poche settimane dopo che, al Cop27 tenutosi proprio al Cairo, Giorgia Meloni aveva avuto uno scambio a tutto campo col dittatore egiziano, partner scomodo ma inevitabile, ma anche col premier etiope Abiy Ahmed, rivale del Cairo.
Nel Mediterraneo allargato sulla scia di Mattei
L’Italia sa che il Mediterraneo non va solo da Gibilterra a Suez: è interesse mediterraneo anche custodire, libere e aperte, le rotte di navigazione che attraversano il Grande Mare. Ma anche creare sistemi energetici integrati. Per questo l’Italia fa sponda, su energia e difesa, con la Grecia. Ma costruisce rapporti anche con la Turchia, nazione centrale a cavallo tra Europa e Asia, per avere l’assenso di Ankara al gasdotto EastMed.
A ottobre Meloni nel suo discorso di insediamento aveva fatto riferimento a Enrico Mattei e a una visione prospettica su Mediterraneo, Africa e interesse nazionale. Ora è compito del governo costruirla contribuendo a un Mediterraneo libero, sicuro e in cui il ruolo dell’Italia possa essere di equilibrio tra le parti e, al contempo, garante securitario contro i rivali dell’Europa. Riscoprendo la lezione strategica dell’Italia della Ricostruzione, che seppe avere nell’agenda mediterranea, nelle sue varie declinazioni, la priorità della politica estera.
Per Amintore Fanfani e Aldo Moro il Mediterraneo era il terreno d’azione dell’originalità di politica estera della visione neoatlantista; per Giorgio La Pira il “Grande Lago di Tiberiade” in cui creare un dialogo modello per l’epoca della Guerra Fredda; per Giulio Andreotti e Bettino Craxi una linea di faglia del mondo bipolare dove far coesistere la natura decisiva del Paese e la sua natura di mediatore; per i comunisti il ponte tra Europa e Terzo Mondo, per i cattolici un laboratorio di ecumenismo.
La rotta mediterranea dell’Italia
Unendo in una bussola comune queste visioni i decisori strategici della Prima Repubblica le misero a disposizione di un’agenda politica multivettoriale centrata sul Mediterraneo. L’Italia perseguiva la sicurezza energetica, promuoveva la libertà di commercio, lavorava alla prevenzione del terrorismo con Israele e il mondo arabo, in sponda col Vaticano perseguiva un’ambiziosa diplomazia multilaterale giocando nelle intercapedini della Guerra Fredda.
Il rilancio di queste priorità e di una visione di sistema passa per la consapevolezza che l’interesse nazionale si gioca in larga parte nelle acque del Mediterraneo e nelle sue propaggini. L’attivismo del governo Meloni sembra prendere contezza di tutto ciò e lavorare alla creazione di un’agenda. A cui, negli anni a venire, andrà data continuità per far prosperare l’interesse nazionale.
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