“Ora te, quindi cantisi sempre, finché si viva; dimenticarti e vivere chi mai potrebbe, o diva? prima del sole negli uomini vanisca ogni memoria, che il ricordo, nel cuor, della tua gloria”. (Giosuè Carducci)

Roma, 3 feb – Viene chiamata la Città eterna, e non è un caso che Roma, culla dell’Occidente ma non solo, continua a stupire il mondo svelando quotidianamente le proprie ricchezze. Sembra quasi che i nostri avi abbiano voluto affidare alla custodia del suolo dell’Urbe le loro storie, i propri miti e le antiche divinità, in modo di farle sopravvivere alle invasioni barbariche, all’iconoclastia religiosa e ai bombardamenti di chi storia non ha. Un passato mitico e magico che la capitale restituisce ritmicamente all’uomo moderno, animale distratto, sempre intento a seguire le strade superficiali del nulla che portano a mete lontane dalla Tradizione.

Una scoperta unica

Solo pochi giorni fa, in questa rubrica, vi abbiamo parlato della bellissima statua di Ercole a grandezza naturale, ottimamente conservata, riaffiorata dalle voragini della via Appia Antica. Oggi, invece, una nuova straordinaria scoperta viene rivelata dagli scavi del cantiere della Metro C. Un’altra antica divinità protettrice dell’Urbe, torna a rivedere la luce dopo bui millenni; è la dea Roma, sacra a questa città fin dalla sua fondazione e custode di leggi arcaiche oggi vilipese. Durante gli scavi alla stazione di Porta Metronia, gli operatori hanno rinvenuto un raffinatissimo reperto dell’antica Roma, raffigurante la dea della Città adornata da elmo e lancia. Il fattore realmente sorprendente di questa scoperta è però il materiale sul quale l’icona è rappresentata; ovvero un piatto di vetro dorato resistito a secoli e secoli di intemperie infere e smottamenti tellurici.

Salve dea Roma

Roma rappresenta una delle divinità più antiche celebrate dalle genti che abitarono il Palatino. Adorata fin dai tempi arcaici come troiana prigioniera dei Greci, diede patria agli esiliati e agli oppressi. Venne rimbalzata per mare negli inni omerici, forte di una ribellione divina che tenne lontane le navi achee dalle sponde del Tevere dove ella approdò insieme ai compagni di Ulisse. Ma le fonti della Tradizione pongono Roma in molti altri ruoli; moglie o figlia di Ulisse, Enea, Telemaco o Ascanio. La Dea Roma è inequivocabilmente raffigurata con elementi quali la spada, lo scudo, la sfera, la corona d’alloro, la corona turrita, l’elmo, la lancia, il trono e la Vittoria alata. Nell’Urbe, il più antico culto di Stato alla Dea si celebrava presso il Tempio adrianeo di Venere, con la quale Roma condivideva il trono della città. Il tempio conteneva l’immagine ellenizzata della Dea Roma seduta, con il Palladium nella mano destra, simbolo dell’eternità di Roma. Proprio il Palladio riportava alle mitiche origini troiane di Roma, simboleggiando la statua di Pallade Atena che Ulisse e Diomede rubarono da Troia. Secondo la Tradizione, il mitico manufatto fu successivamente portato da Enea laddove sorgerà Roma, e qui, fondata l’Urbe, custodito insieme al fuoco sacro nel Tempio di Vesta. Dal II sec. a.C. fu simbolo più alto dello stato romano e fu posta fin da allora in Campidoglio dove troneggia tutt’oggi.

L’eterno vetro dorato dell’Urbe

Questo antico manufatto che ora indagano gli studiosi, è l’unico esempio al mondo raffigurante la divinità dei Sette colli su un rarissimo vetro dorato. “Già un vetro dorato è un reperto molto raro – spiega all’ANSA la funzionaria archeologa della Soprintendenza speciale di Roma, Simona Morretta – ma questo non ha confronto allo stato attuale degli studi. Non si era mai trovato un vetro dorato con la personificazione della città di Roma”. Originariamente potrebbe essere stato il fondo di una coppa, “un oggetto particolare che spesso veniva utilizzato come dono”. Colui che ne beveva il contenuto, poteva guardare in trasparenza l’immagine sul fondo, un modo forse per brindare al nettare permesso dalla divinità e per non scordare, anche inebriati dal vino, il vincolo tra sacro e terreno. “Noi non sappiamo – sottolinea Morretta – se venisse usato realmente per contenere qualcosa o come soprammobile, ma certamente mettere un’immagine sul fondo rispecchia quell’idea”.

Porta Metronia è tutt’oggi un importante monumento archeologico romano. Essa si apre dalla superficie delle Mura Aureliane, in corrispondenza della Porta Querquetulana della più antica cinta muraria del sesto re di Roma, Servio Tullio. Nei secoli fu chiamata in modi diversi, come porta Metrodia e Metronia, secondo alcuni derivati dal termine greco metron, ovvero misura. Porta Metaura, inoltre, secondo alcuni significherebbe meta aurea, cioè laddove veniva depositato e pesato l’oro dei tributi che le province versavano a Roma, prima che venisse trasferito nelle casse dello Stato. Tuttavia il portale non fu mai di grande rilevanza per l’Urbe, fungendo unicamente il compito di porta minore per consentire un accesso alternativo al Celio. Porta Metronia è anche però l’unica porta inclusa nel basamento di un torrione, in modo che sporgesse leggermente verso l’interno, voluta in origine con la struttura militare edificata a protezione del passaggio. Probabilmente, in occasione dei restauri operati intorno al 402 dall’imperatore Onorio, porta Metronia rimase una semplice apertura di utilità, dismettendo gradualmente la sua caserma. Dal XIII secolo però, l’area fuori Porta Metronia venne chiamata Lo Pantano a causa delle paludi della Marrana. Proprio il microclima insalubre che derivava dall’acqua stagnante causò un’epidemia che nel 1601 afflisse gli abitanti del Celio.

Brindando a Roma 

Il reperto riemerso dagli scavi della Metro C, trovato nei pressi delle rovine interrate di una caserma militare della Roma imperiale, è grande all’incirca come il palmo di una mano, ma porta con sé duemila anni di storia. “Era un oggetto prezioso – prosegue l’archeologa – e quando si è rotto o scheggiato non l’hanno voluto buttare. Ma dato che una coppa di vetro non si poteva riparare, ne è stato ‘ritagliato’ il fondo, e può darsi che sia stato esposto su un mobile o appeso a una parete”. I resti della struttura militare adiacente al ritrovamento fu abbandonata alla metà del III secolo per essere riconvertita ad altro. Le sue mura vennero tagliate, gli spazi riadattati e le macerie ricoperte sotto cumuli di terra. Il vetro dorato della dea, emerso proprio da questi strati di terra, è però posteriore. “Da questo primo studio – conclude l’archeologa italiana – ci sembra un manufatto degli inizi del IV secolo“. Comunque sia, aspettando l’esito delle ricerche degli esperti, possiamo già annunciare che questo antico piccolo tesoro sarà esposto in una teca, ad esso dedicata, che completerà elegantemente la futura stazione-museo della metro di Porta Metronia.

Andrea Bonazza 

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