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Immigrazione: filantropismo universale contro ragion di Stato – Maria Alessandra Varone

L’immigrazione in Italia è un tema estremamente divisivo. Non si tratta semplicemente di un argomento di dibattito, ma di un elemento che rivela un atteggiamento politico ben preciso. Da un lato, infatti, vige il partito della ragion di Stato, il quale rifiuta l’immigrazione clandestina, dall’altro, quello del filantropismo, che caldeggia i porti aperti sempre e comunque.

Indignazione facile

La Costituzione italiana afferma non solo di attenersi alle norme sull’immigrazione come previste dal diritto internazionale, ma specifica che, quale che sia la provenienza dei richiedenti asilo, se le condizioni impediscono loro l’esercizio delle libertà fondamentali, questi ne abbiano pieno diritto. A fronte di questo, molti Paesi europei gestiscono una efficace politica migratoria senza alimentare la clandestinità e senza che questo rappresenti un oltraggio per l’opinione pubblica.

In Italia non è così. È evidente da anni, ma ad ogni nuova tragedia in mare segue una nuova ondata di indignazione. Il problema che andrebbe risolto a monte, evitando le partenze, vuole essere risolto a valle, cioè con gli sbarchi, e pertanto alla fine di una traversata che porta con sé tutti i pericoli di un viaggio clandestino con le insidie del mare.

Il discorso non è nemmeno legato all’immigrazione in quanto tale, bensì alla sua modalità. Se, cioè, clandestina o regolare, ma la filantropia non vuole sentire ragioni, e alla sicurezza antepone il bene morale.

Il paternalismo universale

Ma cos’è il bene morale? Cosa rivela, veramente, questo paternalismo universale? Molto probabilmente il forte desiderio di sentirsi migliori degli altri rivolgendo le proprie attenzioni a lidi lontani, quindi senza il minimo sforzo se non quello dell’indignazione e della soluzione più facile e socialmente accettabile.

Un politico ha come scopo quello di tutelare il benessere della propria nazione, non quello dell’umanità. L’Italia non può sobbarcarsi la responsabilità di essere guardiana del bene nel mondo, e nemmeno del più umile Mediterraneo.

La carta del risentimento

Specialmente se gli italiani, nei quartieri periferici delle città, e in talune, anche centrali, incontrano serie difficoltà di convivenza con i clandestini. Ed è offensivo, oltraggioso, che questo problema voglia essere messo da parte con la carta del razzismo, dell’intolleranza e della disumanità. È una retorica vigliacca che non solo aggira il problema, non risolvendolo, ma lo inasprisce.

Infatti, così facendo, non si fa altro che alimentare il malcontento non solo tra italiani e clandestini, ma tra italiani e italiani. Dicotomia evidente, stimolata sempre di più, che viene proposta come quella tra razzisti e anti-razzisti, ma che in realtà è quella tra chi vive il disagio che l’immigrazione comporta e chi no.

Allora al problema si può guardare solo in due modi: o con sincerità, con tutto ciò che essa comporta, oppure con una narrazione artificiosa ma convincente, utile per sentirsi sempre con la coscienza pulita.

Ma la politica non la si fa rimanendo immacolati, bensì avendo il coraggio di mettersi in discussione per il bene della propria nazione conformemente a quella che Machiavelli chiamava “la verità effettuale della cosa”: chi detiene il potere è chiamato a fare questo.

E se tale scopo è incompatibile con le finalità di individui stranieri, non è possibile abdicare. Al massimo, si possono limitare i danni: in questo caso, evitando le partenze, smettendo di alimentare quello che è un evidente traffico di esseri umani con esiti troppo spesso tragici.

Domande ai filantropi moralisti

Il moralista filantropo, a questo punto, obietterà che questa povera gente fugge dalla fame, dalla guerra, dalla tortura. Ma non è così, per le condizioni stesse esplicitate nell’articolo 10 per stabilire chi ha diritto d’asilo e rifugio.

Ad ogni modo, se anche fosse, lo straniero ha forse più diritto ad un futuro migliore di quanto non lo abbia un italiano? Il fatto di nascere italiani rappresenta forse un privilegio, se le condizioni sono comunque difficoltose e precarie? Sostenere un’ideologia è forse più importante dell’apportare benefici concreti a necessità effettive?

Sono queste le domande a cui i filantropi universalisti dovrebbero rispondere, e alle stesse accuse dovrebbero essere sottoposti tutti gli altri Paesi europei che non permettono alle ong di approdare nei loro porti.

Alla fine la questione di fondo, in Italia, per questo così come per qualsiasi altro argomento, è sempre la stessa: filantropismo universale o ragione di Stato.

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